L’ecosistema digitale per Expo 2015 è un modello di cooperazione che rimarrà sul territorio. Neutrale, aperto, replicabile. Lo ha spiegato Alfonso Fuggetta in Aica.
C’è un sistema di governo dell’It che è nato in Italia e che altrove non sanno nemmeno cosa sia.
Questo ai più, anche un po’ qualunquisticamente, potrà sembrare strano.
Ma invece è così.
E015, il digital ecosystem proposto e gestito dal Cefriel e adottato per Expo 2015 è proprio questo: un’esperienza, in atto, unica, di sistema integrato, indipendente e aperto che sta generando virtuosismi giorno dopo giorno.
E che continuerà a farlo anche dopo Expo, ha confermato Alfonso Fuggetta, Ad e Direttore scientifico del Cefriel alla platea di Aica a Milano.
Cos’è E015?
Cominciamo a dire cosa non è, con le parole di Fuggetta: non è un portale, non è una app.
È un progetto di sistema per lo sviluppo e la diffusione di applicazioni sul mercato, di servizi sul territorio. Un sistema b2b, di cui beneficia il pubblico.
La genesi e il senso
L’idea nacque nelle stanze del Cefriel anni fa sentendo le opinioni delle aziende Ict che pensavano, sbagliando, «che Expo avrebbe fatto la super gara. E ovviamente niente di tutto questo è avvenuto».
Per Fuggetta, infatti, Expo2015, che è diventato parte del progetto strada facendo «non avrebbe fatto nessuna gara, perché non era il suo mestiere gestire le cose al di fuori di Expo, che invece andavano e vanno affidate a soggetti autonomi».
Ecco dunque cosa fa, in primis, E015: intercetta le autonomie.
Ovvero fa da pivot di servizi sistemici, in un modo che non ha età, non invecchia: va bene anche per il dopo Expo.
Superare il limite culturale e comunicativo
Il secondo presupposto all’esistenza di E015, infatti, è che il limite nel creare un ecosistema digitale fruibile da tutti non sta tanto nel cosiddetto deficit strutturale, ossia la disponibilità di una banda più o meno larga, ma nel mettere ordine nella creazione di servizi digitali evoluti.
Cosa lo ha impedito, dunque, sinora?
«Che i soggetti non si parlano», ha detto Fuggetta tranchant.
E si viene dunque al compito di E015: creare un sistema di comunicazioni intelligenti, coordinate, sensate.
E farlo senza dare i dati ad altri, come per esempio a Google.
Non un walled garden, ma un sistema neutrale
Da ciò si evince che non si tratta di fare un cosiddetto walled garden, un sistema chiuso in cui chi lo crea è il detentore dei dati.
I dati, invece, è la rivelazione di Fuggetta, devono rimanere ai legittimi proprietari: sono le applicazioni, piuttosto, che si devono parlare, devono integrarsi.
E per poter farlo serve che si basino su standard condivisi.
Troppo semplice e facile da sembrare vero.
Il ruolo di E015, si evince, è quello di fare da comune denominatore, garante delle regole di base, che consentono a chi vi sale a bordo di cooperare e competere allo stesso tempo (“il concetto forse più difficile da far capire”, ha commentato Fuggetta).
Come internet più di internet
Il funzionamento di E015, allora, è del tutto simile a quello di internet: si scelgono gli standard tecnologici, si definisce un modello di cooperazione, si lega i partecipanti a questi due elementi cardine. Poi si sviluppa.
Lo si fa con un ambiente di produzione fatto da tecnologie opensource, strumenti leggeri, sorgenti, registry, servizi eterogenei.
Tecnicamente, é un bus a livello extranet.
Ci sono regole uguali per tutti per esporre un servizio Web o Rest.
Serve, però, un pilota, per far capire meglio.
Il pilota: l’applicazione di infomobility
Ed ecco che E015 ha messo a disposizione la prima implementazione di un sistema digitale aperto indirizzato ai trasporti: l’applicazione di infomobility che accede a servizi eterogenei: Infoblu Expo, raggiungibile sia come web app (e015.infoblutraffic.com), sia dagli app store mobili, e a cui contribuiscono Sea, Autostrade, Ferrovie, Trenord, Atm.
Open, ma non opendata
Opensource sì, ma non opendata.
Ha affermato con una punta di polemica Fuggetta: «qui bisogna cooperare, ci sono query interagenti. L’opendata é un ritorno alle variabili globali quando invece si deve parlare di procedure. Un bel fenomeno politico, legittimo, ma che non risolve il problema, ed è lontano dall’essere sufficiente».
Copiate, copiate, copiate
Aderire all’ecosistema, ha chiosato Fuggetta, vuol dire accettare le regole comuni per poi mettere a disposizione servizi, Api, interfacce chiamabili da chi fa applicazioni.
Va definita la struttura dei dati, il glossario comune.
È un sistema copiabile?
«Non c’è un trademark: vorrei che lo copiassero. Di più, che ci federassimo».
Come fare?
«Va creata massa critica attorno al caso pilota, in senso bottom up. In ottica top down tocca alla Pa, dove la vera interoperabilità sta nei backend».
Nell’ampliamento verso il mercato, verso le Pmi, c’è invece un ruolo per le associazioni.
Lo sviluppo di un simile sistema, ormai è chiaro, deve essere virale.
I pareri raccolti presso Aica
Dalla discussione che ne è seguita in Aica, Annamaria Di Ruscio di NetConsulting ha posto l’accento sul fatto che l’ampliamento di un sistema del genere anche a realtà medio piccole e di altri settori è sicuramente conveniente, e l’operazione va commisurata con la capacità di raggiungere più alti livelli di penetrazione e di personalizzazione delle applicazioni.
Ornella Fouillouze di ClubTI e coordinatrice del premio eHealth4all, si è soffermata sulla portabilità di un simile sistema nel campo healthcare evidenziando i lacci che ancora frenano la volontà a condividere le informazioni del settore.
Quanto all’applicabilità in ambito Pa, Paolo Ferrara di Digicamere ha manifestato scetticismo, ponendo problemi di infrastruttura.