A rendere un po’ più contrastato il rapporto con la Germania ora c’è un altro elemento. Lasciate perdere per un momento, l’euro, l’austerità e la rigidità teutonica e concentratevi sull’Industry 4.0 dove la Germania sta tracciando la strada e noi, un po’ arrancando, dobbiamo tracciarne un’altra. Questo è il parere di Marco Taisch, professor of Advanced & sustainable manufacturing and operations management del Politecnico di Milano, oltre che scientific chairman del World manufacturing forum 2016 che si è svolto a Barcellona, secondo il quale bisogna partire dalla diversa struttura del sistema industriale.
Non dobbiamo copiare i tedeschi
“La via italiana – spiega – consiste nel non copiare il loro programma ma farne uno nostro. In Germania il progetto è guidato dalle grandi aziende che forniscono la tecnologia It. In Italia invece abbiamo grandi fornitori di macchine utensili e quindi dobbiamo aiutare quel tipo di industria per favorire la competitività in questo settore”. Se in Germania lo stakeholder è Siemens in Italia devono essere quelle medie aziende che producono macchinari che devono cercare la collaborazione con il mondo It.
“Il pericolo è di subire l’egemonia tedesca sotto forma dei loro standard tecnologici. Noi invece dobbiamo guardare a Stati Uniti, Giappone, Cina o Corea e cercare altri fornitori”. E il problema non riguarda le Pmi che fanno parte di una filiera o di una importante catena di fornitura a livello internazionale, ma tutte le aziende. “Perché l’altra minaccia – prosegue il docente del Politecnico – è di avere un forte digital divide fra grandi imprese e piccole e medie aziende. Con le prime che possiedono know how e soldi per gli investimenti e le seconde che oltre a non avere le necessarie competenze non hanno neanche la banda larga”.
E non fatevi tante domande sul ritorno dell’investimento perché qui il Roi non conta nulla. “Il Roi qui non c’è perché se non siamo in grado di realizzare questo passaggio siamo fuori. La digitalizzazione diventerà un’infrastruttura come la banda larga”.
Le differenze con la fabbrica buia
Ma dal punto di vista tecnologico l’asticella si sta alzando? “No, si sposta” risponde Taisch che allarga il discorso agli skill necessari per affrontare la nuova fase industriale. “Industry 4.0 richiede competenze nuove da affiancare a quelle necessarie per il core business”. All’aspetto tecnologico, come se non bastasse, dobbiamo quindi aggiungere quello formativo con il training delle persone che già lavorano in azienda che devono acquisire capacità digitali e l’acquisizione di nuove figure che coprano le posizioni che si aprono nel manifatturiero. Torna così alla ribalta una delle “tare” nazionali, la sottovalutazione del manifatturiero, lo scarso appeal della fabbrica, l’idea non corretta che offra bassi stipendi e poche possibilità di carriera. “I tedeschi hanno fatto di Industry 4.0, una iniziativa commerciale guidata dalle grandi aziende, una veicolo di marketing con un’opera di evangelizzazione presso famiglie e imprenditori. Questo sposta gli iscritti ai corsi di laurea”. In Italia invece “Non abbiamo sufficiente materiale in ingresso nelle nostre facoltà” che tradotto significa che conitnuiamo ad avere pochi ingegneri di cui sentiremo sempre di più la mancanza.
Perché la pervasività del digitale tipica della fabbrica moderna significa passare dalla classica automazione industriale dove lavorano i robot a quella industriale e cognitiva dove vengono utilizzate e condivise informazioni in tempo reale. Nulla a che vedere con la “fabbrica buia” della Zanussi degli anni Ottanta. Allora si parlava di fabbrica buia perché si faceva riferimento a un impianto di robot senza uomini e quindi non era neanche necessario accendere la luce. L’uomo della fabbrica 4.0 invece, grazie a tutte le informazioni a disposizione, può fare meglio il proprio lavoro, “diventa più bravo e meno sostituibile con un robot”. Il lavoratore è più performante rendendo meno conveniente la sostituzione con la macchina. “Non perderemo posti di lavoro ma avremo skill differenti”, conclude Taisch che ripone grande fiducia nel nuovo ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. E poi, con ottimismo aggiunge, “il manifatturiero italiano è già abbastanza pronto al passaggio”. Ci vuole solo qualche ingegnere in più.
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