L’Australia naviga sulla crisi ma ora rischia l’export

Grazie al piano del Governo Rudd – segnala l’Ice – il paese ha evitato la recessione, però si avvicina un calo dei proventi commerciali con la Cina

Mentre molti paesi ancora si leccano le ferite della crisi, l’Australia coglie i frutti dei suoi interventi di pronto soccorso. Stando agli ultimi dati comunicati dall’Ice, l’Australia è l’unica nazione passata indenne dalle turbolenze finanziarie che hanno invece affossato la maggioranza delle economie sviluppate. Un aiuto è arrivato anche dall’aumento della popolazione, che ormai sfiora quota 22 milioni con 439mila persone in più – numeri appena riferiti dall’Ice – tra immigrati e nuove nascite (+2% su base annua). Ciò si traduce, infatti, in maggiori spese per i consumi e l’acquisto o affitto di case, contribuendo a mantenere vive le attività economiche del paese.

Le pezze del Governo
Il Pil australiano è addirittura cresciuto dello 0,6% da aprile a giugno, beneficiando del piano statale di sostegno all’economia per 42 miliardi di dollari. Il ministro del Tesoro, Wayne Swan, ha comunicato che le spese delle famiglie sono salite di 1,8 miliardi di dollari e gli investimenti delle imprese di 1,3 miliardi, grazie rispettivamente ai bonus di 900 dollari e agli incentivi per l’acquisto di auto aziendali. Swan ritiene che, senza il piano, si sarebbero persi 150mila posti di lavoro e il Pil sarebbe sceso dello 0,3% nel secondo trimestre dell’anno. Dunque nessuna recessione tecnica per Canberra, poiché il Pil era leggermente avanzato anche nel primo trimestre (+0,4%).

Il Governo di Kevin Rudd è anche impegnato sul fronte dell’innovazione tecnologica per le Pmi. È allo studio un pacchetto di misure fiscali per incoraggiare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Il Governo – spiega l’Ice – alzerà il tetto massimo di spesa che le aziende potranno destinare alle attività R&S per ottenere le riduzioni fiscali, ancora in corso di definizione. Gli attuali due milioni di euro dovrebbero raddoppiare a circa quattro milioni per l’anno finanziario 2009-2010.

Nuovo deficit in vista
Il deficit commerciale australiano si è ripreso nel secondo trimestre 2009, essendo aumentate le esportazioni, soprattutto di oro e carburanti. Anche l’apprezzamento della valuta australiana ha giovato alla bilancia commerciale; tuttavia, proprio su questo e altri fattori si giocherà il benessere economico del paese nell’immediato futuro. Alcuni analisti – citati dall’Ice – mostrano qualche perplessità: la bilancia commerciale potrebbe peggiorare già nell’ultima parte dell’anno.

Alti e bassi dell’export
Molti fili dell’economia australiana dipendono dalle importazioni cinesi di ferro e carbone, necessarie per alimentare la fame energetica e industriale di Pechino. Il dollaro australiano, che ha già recuperato circa il 40% del suo valore rispetto al dollaro statunitense dallo scorso marzo, mostra una continua ascesa che potrebbe ridurre considerevolmente i proventi delle esportazioni in Cina. Gli analisti stimano che tale riduzione potrebbe toccare il 20% nei prossimi nove mesi. Come rovescio della medaglia, un dollaro forte dovrebbe sostenere le importazioni, favorendo gli investimenti dell’industria manifatturiera.

Sempre più carbone
L’esportazione del carbone, infine, potrà contare sull’accordo appena siglato per il porto di Newcastle, nel New South Wales, tra il Governo di quello stato e oltre una decina di compagnie del settore carbonifero. Il porto era diventato un collo di bottiglia: la cronica insufficienza dei terminali per le merci costringeva a ridurre i carichi verso l’estero. L’accordo sbloccherà quasi quattro miliardi di euro per le infrastrutture del porto e i collegamenti ferroviari con le miniere. Ciò garantirà un aumento delle attività minerarie; la compagnia cinese Shenhua Energy, per esempio, pagherà al New South Wales circa 350 milioni di euro l’anno per lo sfruttamento di nuovi giacimenti. Nei prossimi sei anni, le esportazioni di carbone dal porto di Newcastle dovrebbero raddoppiare.

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