I vantaggi del trasferire i dati nella nuvola secondo Cristian Meloni di CommVault Italia. Necessario analizzare i dati alla base di partenza e impostare il recovery. Improbabile, poi, che si torni indietro.
Solitamente ci si rivolge al cloud per rispondere alle necessità di controllo di dati e informazioni stando attenti l’impatto operativo e i costi.
Di certo non si è usi pensare al cloud per avere migliori livelli di servizio.
Spesso le aziende sono alla ricerca di un supporto per gestire la maggiore pressione all’archiviazione, al mantenimento e al reperimento di informazioni più voluminose per periodi di tempo più lunghi.
Per loro trasferire i dati è facile. Il problema, semmai, è il loro controllo, declinato in sicurezza, accessibilità e gestione.
Per Cristian Meloni, PreSales & Ps Manager di CommVault Italia, invece di immagazzinare dati statici e poco rilevanti a livello locale, impegnando risorse che hanno costi elevati a livello di spazio, servizio e gestione, le aziende possono trasferirli a un fornitore di servizi di cloud storage, sfruttando le economie di scala.
Trasferire questi dati in modalità compressa e deduplicata fa sì che l’ampiezza di banda disponibile sia usata in modo ottimale e l’utilizzo della crittografia permette di garantire sicurezza ai dati.
Allo stesso tempo, il sistema può mantenere un indice dei dati e delle informazioni, con la possibilità di recuperarli, esattamente come se fossero salvati in locale.
Fondamentale è mantenerne il controllo e garantire che una copia di quei dati e di quelle informazioni sia sempre disponibile.
Ma non si tratta solo di un fattore di costi: il passaggio al cloud alleggerisce anche il peso operativo di rischio e complessità.
Disporre di un archivio nel cloud permette di eliminare le complicazioni legate alla gestione dei nastri, di dimenticarsi delle scadenze e della rotazione dei media e di processi di recupero lunghi e costosi.
Ma cosa trasferire al cloud?
Per Meloni il primo step da fare per capirlo è un’analisi approfondita dei dati e delle informazioni attualmente immagazzinati. Il secondo è un’analisi altrettanto approfondita di quanto a lungo questi dati e queste informazioni devono restare disponibili.
Queste due operazioni preliminari mostreranno quali dati devono essere mantenuti per lunghi periodi di tempo, quali sono più importanti per il business e quali invece lo sono meno.
Si tratta di un passaggio fondamentale, perché i dati meno importanti possono essere fisicamente allontanati, per poi concentrarsi su quelli invece più importanti.
Quanto a lungo le aziende conservano i dati non ha a che vedere con la tecnologia, piuttosto con le esigenze di business. Dal business dipende la scelta di tenere determinati dati per un certo periodo di tempo, cosa che rende il passaggio al cloud un progetto ancor più interessante ed articolato, che richiede una combinazione di buon senso, regole e supporto tecnologico.
Sono tre, quindi, le tipologie di gestione di dati e informazioni che acquistano maggiore rilevanza per un possibile passaggio al cloud.
Meloni le elenca così: backup e ripristino (ossia utilizzare le risorse esterne che si trovano nel cloud per identificare una location alternativa di dati e informazioni per un determinato periodo di tempo); archiviazione, cioè estrarre i dati che rivestono un’importanza minore per il business e trasferirli presso risorse disponibili esternamente ed a costi più ridotti; disaster recovery, cioè disporre di un’alternativa a costi ridotti alla realizzazione di un secondo data center.
Si tratta di tre aree che possono riguardare molte aziende e che portano con loro numerose condizioni e limitazioni da considerare prima di adottare un servizio basato su cloud.
Ad esempio, fa notare Meloni, sarà necessario considerare l’ampiezza di banda necessaria, non solo per i processi regolari di backup, ma anche per il recupero dei dati immagazzinati. Sarà altrettanto importante considerare le offerte economiche dei diversi fornitori di servizi cloud, in modo da capire se i vantaggi economici promessi possono essere anche di lungo periodo.
Stando a quanto risulta a Commvault il 24% delle aziende che prevede di mantenere i dati nel cloud per oltre sei anni e un ulteriore 10% che addirittura considera tempi superiori ai dieci anni.
L’adozione del cloud, pertanto, è limitata solamente dalla volontà delle aziende: accesso, sicurezza, controllo e la libertà di decidere dove i dati debbano essere immagazzinati restano infatti in mano al cliente. In questo modo, molte delle preoccupazioni legate all’adozione di questo approccio cessano di esistere e di rappresentare un ostacolo.
E lo storage nel cloud può diventare uno scenario ancor più vicino e reale.
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