Il decreto sulle (o contro le?) energie rinnovabili

Il Dlgs rinnovabili poteva essere un punto di partenza per un rilancio ordinato delle energie rinnovabili nel nostro paese, dopo una prima fase impetuosa ma inevitabilmente caotica. Ma non è stato così, perché, accanto ad alcune soluzioni opportune, restano aperte troppe questioni irrisolte.

Pochi argomenti nel nostro paese fanno discutere come le
energie rinnovabili, una materia che spesso viene affrontata
dividendosi radicalmente fra favorevoli e contrari, anche
all’interno degli stessi schieramenti, senza mezze misure. Al
solito, c’è chi pensa che l’energia
verde sia il rimedio di tutti i mali, e chi al contrario ritiene che
non sia che una goccia nel mare dei bisogni energetici di una
civiltà moderna. E come al solito, non sempre queste scuole
di pensiero sono animate da intenzioni esclusivamente legate al
benessere della popolazione e all’andamento economico del
paese, ma anche a interessi personali o di categoria.
Abbiamo esaminato la materia recentemente su queste pagine, in una
serie di 5 articoli dal titolo “Finanziare la green
economy”, apparsi nei numeri dal 7 al 12 del 2010. La serie
è iniziata con una rassegna dedicata alla normativa europea
in materia di Fonti energetiche rinnovabili (Fer), una seconda dedicata
invece alla complessa ed articolata normativa italiana; hanno fatto
seguito tre articoli, che hanno descritto incentivi e finanziamenti sul
fotovoltaico e sull’eolico, e l’ultimo invece
incentrato su un progetto idroelettrico finanziato con una struttura di
project finance.
Particolarmente nel secondo articolo, dedicato alla normativa italiana
sulle Fer, abbiamo visto come il quadro legislativo in materia sembri a
volte come un mare in tempesta, sconvolto da onde che una volta portano
in una direzione, a volte in un’altra. Il decreto legislativo approvato
il 3 marzo 2011 dal Governo rimette in discussione tutta la materia,
fissando alcuni punti fermi ma anche lasciando molti interrogativi sul
futuro di queste importanti fonti di energia nel nostro paese.
Prima però di descrivere questo decreto, ci sia permesso di
stabilire qualche punto fermo sull’argomento, cercando di
essere il più possibile obiettivi.
Primo. È evidente che, in un futuro abbastanza prossimo, il
nostro fabbisogno energetico non potrà essere soddisfatto
quasi interamente dai combustibili fossili (carbone, gas, petrolio),
come è stato per gran parte del secolo scorso e
dell’ultimo decennio. Questo per vari motivi:
perché la dipendenza da tali fonti comporta la dipendenza da
paesi esteri – non sempre ad elevato tasso di democrazia
– che può avere pesanti conseguenze politiche;
perché il prezzo degli idrocarburi, in una situazione di
domanda crescente e offerta necessariamente calante, è
inevitabilmente destinato a crescere; perché le conseguenze
dell’immissione crescente di gas serra in termini di
cambiamenti climatici negativi sono ormai accertate da tutti gli
scienziati, in primis da quelli che contribuiscono
all’International panel on climate change (Ipcc)
dell’Onu; perché il monopolio della produzione e
vendita di tali combustibili resta in poche mani in ciascun paese, che
tendono a condizionare secondo i propri interessi le politiche
economiche dei governi.
Secondo. È altrettanto evidente che in futuro
andrà utilizzato un mix di risorse energetiche, che non
potrà fare a meno di combustibili fossili, ma in previsione
di un loro futuro minor impiego. Quali sono le alternative?
L’energia nucleare ha i problemi di sicurezza e di dubbi su
modalità e costi dello smaltimento delle scorie radioattive
che sono tornati alla ribalta, purtroppo, in seguito al tragico
terremoto in Giappone e alle difficoltà delle centrali
nucleari del Nord Est del paese. Altro problema del nucleare in Italia
è che, se anche si decidesse di partire subito con la
costruzione di centrali nucleari, i primi kWh prodotti con questa fonte
non sarebbero disponibili prima del 2023.
Terzo. In attesa dello sviluppo di nuove fonti, come le cellule a
combustibile (il cui sviluppo è purtroppo ancora lontano
dall’applicazione a livello industriale), l’unica
alternativa è rappresentata dalle fonti energetiche
rinnovabili (Fer). Queste fonti hanno degli indubbi vantaggi: non sono
inquinanti e non emettono gas serra nell’atmosfera; sono
sparse sul territorio e quindi sono “democratiche”,
nel senso che sono di proprietà diffusa; non danno problemi
nel caso di fermo di un impianto; nel medio periodo i costi degli
impianti diminuiranno, mentre il costo del combustibile è
nullo o minore di quelli fossili; possono essere sviluppate in maniera
relativamente veloce, come si è dimostrato nella recente
esperienza italiana. Hanno però degli svantaggi: i costi
d’investimento sono pesanti, e quindi devono essere, almeno
in una prima fase, incentivati; gli incentivi, di qualsiasi natura,
attirano l’attenzione di gruppi malavitosi o di truffatori;
gli impianti hanno qualche volta un impatto negativo sul territorio (ma
quale centrale elettrica è “bella”?).
È in questo canale ristretto che bisogna impostare una
politica energetica, in una regione, come l’Europa, ed in
paese, come l’Italia, che hanno risorse molto scarse di
combustibili fossili.

Le fonti del Dlgs rinnovabili
La politica energetica dell’Ue si è sempre
distinta sul piano internazionale, caratterizzandosi per una
particolare sensibilità verso le problematiche ambientali e
diventando un caposaldo della politica estera dell’Unione.
Attualmente la politica energetica ed ambientale europea è
regolamentata da una serie numerosa di direttive e misure comunitarie
che sono state adottate nel tempo. Gli obiettivi concordati in sede
europea sono ambiziosi, e mirano in sintesi a garantire
l’energia necessaria a tutti i cittadini rispettando
l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. All’interno
di questo quadro, le fonti di energia rinnovabile giocano un ruolo
importante, perché esse danno al contempo una risposta sia
al problema dell’approvvigionamento energetico e della
dipendenza dal petrolio che al problema ambientale.
La politica europea punta ad un incremento
della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili del 20%
entro il 2020, ed al contempo a ridurre del 20% l’emissione
di gas serra
entro la stessa scadenza. Tale obiettivo
viene scomposto in successivi piani energetici nazionali.
Di conseguenza è stata pubblicata la direttiva
2009/28/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione
dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili del 23
aprile 2009
. Essa mira a stabilire un quadro
più generale e chiaro sulla promozione delle fonti
rinnovabili, incentivando l’uso dei biocarburanti e delle
energie rinnovabili anche nel settore del riscaldamento e
raffreddamento.
La Direttiva nasce dunque dall’esigenza di dare un quadro di
riferimento chiaro, con le relative misure che ogni stato membro deve
intraprendere per raggiungere gli obiettivi preposti dal pacchetto
sull’energia entro il 2020: essa stabilisce gli obblighi per
i singoli Stati, prevedendo quote diverse che variano fra il 10% e il
49% del consumo energetico finale lordo. Per quanto riguarda
l’Italia, è stato riaffermato
l’obiettivo del 17%.
Per dare attuazione a tale Direttiva sono state adottate diverse norme
nel nostro paese. Fra queste rilevante in materia è la legge
23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo
e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia
di energia» (Gazzetta ufficiale n. 176
del 31 luglio 2009). La legge 99/2009 dedica importanti capitoli
all’internazionalizzazione delle imprese (che peraltro, come
riferiamo in altre parti della Rivista, non ha trovato completa
applicazione) ed alla reintroduzione nel nostro paese
dell’energia nucleare.
In seguito, con la legge 4 giugno 2010, n. 96, concernente
«Disposizioni per l’adempimento di obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle
Comunità europee – Legge comunitaria 2009» e, in
particolare, con l’articolo 17.1, sono dettati criteri
direttivi per l’attuazione della direttiva 2009/28/Ce.
Infine, si è arrivati al Dlgs del 3 marzo
2011 «Attuazione della Direttiva 2009/28/Ce del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione
dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili»
. Il decreto, firmato dal
Presidente della Repubblica il 7 marzo 2011, al momento in cui si
scrive è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale
(lo definiremo pertanto “Dlgs rinnovabili”).

Le finalità del Dlgs rinnovabili
Il Dlgs rinnovabili definisce gli strumenti, i meccanismi, gli
incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari
per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di quota
complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di
energia e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti. Il
decreto inoltre detta norme relative ai trasferimenti statistici tra
gli Stati membri, ai progetti comuni tra gli Stati membri e con i paesi
terzi, alle garanzie di origine, alle procedure amministrative,
all’informazione e alla formazione nonché
all’accesso alla rete elettrica per l’energia da
fonti rinnovabili e fissa criteri di sostenibilità per i
biocarburanti e i bioliquidi.
Non tratteremo tutta la complessa materia descritta nei 43 articoli e 4
allegati del Dlgs rinnovabili, ma soltanto la parte che riguarda lo
sviluppo e la finanza delle fonti energetiche rinnovabili (Fer). Per
motivi di spazio, rimandiamo quindi a una prossima occasione la
trattazione di materie importanti come l’obbligo di
integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione
e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, le
reti energetiche, i Certificati bianchi, i biocarburanti. È
tuttavia importante la definizione dei vari termini, che è
fornita dall’art. 2 del decreto e riportata nel box
sotto.

Le definizioni del Dlgs rinnovabili

Ai fini del presente decreto legislativo si applicano le
definizioni della direttiva 2003/54/Ce del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 26 Giugno 2003. Si applicano inoltre le seguenti
definizioni:

a) «energia da fonti rinnovabili»: energia
proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia
eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica,
idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di
depurazione e biogas;
b) «energia aerotermica»: energia accumulata
nell’aria ambiente sotto forma di calore;
c) «energia geotermica»: energia immagazzinata
sotto forma di calore nella crosta terrestre;
d) «energia idrotermica»: energia immagazzinata
nelle acque superficiali sotto forma di calore;
e) «biomassa»: la frazione biodegradabile dei
prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti
dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla
silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e
l’acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico
e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti
industriali e urbani;
f) «consumo finale lordo di energia»: i prodotti
energetici forniti a scopi energetici all’industria, ai trasporti, alle
famiglie, ai servizi, compresi i servizi pubblici, all’agricoltura,
alla silvicoltura e alla pesca, ivi compreso il consumo di
elettricità e di calore del settore elettrico per la
produzione di elettricità e di calore, incluse le perdite di
elettricità e di calore con la distribuzione e la
trasmissione;
g) «teleriscaldamento» o
«teleraffrescamento»: la distribuzione di energia
termica in forma di vapore, acqua calda o liquidi refrigerati, da una o
più fonti di produzione verso una pluralità di
edifici o siti tramite una rete, per il riscaldamento o il
raffreddamento di spazi, per processi di lavorazione e per la fornitura
di acqua calda sanitaria;
h) «bioliquidi»: combustibili liquidi per scopi
energetici diversi dal trasporto, compresi l’elettricità, il
riscaldamento ed il raffreddamento, prodotti dalla biomassa;
i) «biocarburanti»: carburanti liquidi o gassosi
per i trasporti ricavati dalla biomassa;
l) «garanzia di origine»: documento elettronico che
serve esclusivamente a provare ad un cliente finale che una determinata
quota o un determinato quantitativo di energia sono stati prodotti da
fonti rinnovabili come previsto all’art. 3, paragrafo 6, della
direttiva 2003/54/Ce e dai provvedimenti attuativi di cui
all’art. 1, comma 5, del Dl 18 giugno 2007, n. 73,
convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 125;
m) «edificio sottoposto a ristrutturazione
rilevante»: edificio che ricade in una delle seguenti
categorie:
i) edificio esistente avente superficie utile superiore a 1000 metri
quadrati, soggetto a ristrutturazione integrale degli elementi edilizi
costituenti l’involucro;
ii) edificio esistente soggetto a demolizione e ricostruzione anche in
manutenzione straordinaria;
n) «edificio di nuova costruzione»: edificio per il
quale la richiesta del pertinente titolo edilizio, comunque denominato,
sia stata presentata successivamente alla data di entrata in vigore del
presente decreto;
o) «biometano»: gas ottenuto a partire da fonti
rinnovabili avente caratteristiche e condizioni di utilizzo
corrispondenti a quelle del gas metano e idoneo alla immissione nella
rete del gas naturale;
p) «regime di sostegno»: strumento, regime o
meccanismo applicato da uno Stato membro o gruppo di Stati membri,
inteso a promuovere l’uso delle energie da fonti rinnovabili
riducendone i costi, aumentando i prezzi a cui possono essere vendute o
aumentando, per mezzo di obblighi in materia di energie rinnovabili o
altri mezzi, il volume acquistato di dette energie. Comprende, non in
via esclusiva, le sovvenzioni agli investimenti, le esenzioni o gli
sgravi fiscali, le restituzioni d’imposta, i regimi di
sostegno all’obbligo in materia di energie rinnovabili,
compresi quelli che usano certificati verdi, e i regimi di sostegno
diretto dei prezzi, ivi comprese le tariffe di riacquisto e le
sovvenzioni;

q) «centrali ibride»: centrali che
producono energia elettrica utilizzando sia fonti non rinnovabili, sia
fonti rinnovabili, ivi inclusi gli impianti di co-combustione, vale a
dire gli impianti che producono energia elettrica mediante combustione
di fonti non rinnovabili e di fonti rinnovabili.

Gli obiettivi nazionali, che il
decreto definisce nell’art. 3, sono pienamente in linea con
quanto previsto dalla Direttiva Ce, e cioè:

  • la quota complessiva di energia da fonti
    rinnovabili sul consumo finale lordo di energia da conseguire nel 2020
    è pari a 17%
    ;
  • nell’ambito di tale obiettivo, la quota di
    energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di
    trasporto
    dovrà essere nel 2020 pari almeno
    al 10 per cento del consumo finale di
    energia nel settore dei trasporti nel medesimo anno;
  • gli obiettivi di cui sopra sono perseguiti con una
    progressione temporale coerente con le indicazioni dei Piani di azione
    nazionali per le energie rinnovabili predisposti ai sensi
    dell’art. 4 della direttiva 2009/28/Ce (quello italiano
    è stato predisposto e trasmesso dal Ministro dello Sviluppo
    Economico alla Commissione europea nel mese di luglio 2010).

Tuttavia, la Direttiva Ce stabilisce dei limiti minimi per lo
sviluppo dell’energia da Fer. Niente vieta ai singoli paesi
di superare questi limiti, e porsi degli obiettivi più
ambiziosi, come del resto sta facendo la Germania. Nella situazione
italiana, in cui comunque entro il 2020, anche se si marciasse a tappe
forzate verso il nucleare, non ci sarebbe un solo Kwh prodotto con tale
fonte, ed in cui si è dimostrato che si può
produrre molto più del 17% del consumo finale di energia con
le Fer, fissare queste quote a tale livello è in fondo una
scelta di retroguardia
, che ci costringe a dipendere per
l’83% da combustibili fossili e dall’energia
importata.

I regimi autorizzativi
Importanti sono gli articoli del Titolo II del Dlgs rinnovabili, che
trattano delle autorizzazioni e procedure amministrative necessarie per
la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili, uno degli aspetti più delicati
e controversi della materia.
Tali attività vengono regolate:

  • dall’autorizzazione unica di cui
    all’art. 12 del Dlgs 29 dicembre 2003, n. 387, come
    modificato dall’art. 5 del decreto;
  • dalla procedura abilitativa semplificata (descritta
    all’art. 6 del decreto), ovvero
  • dalla comunicazione relativa alle attività in
    edilizia libera (descritta all’art. 6, comma 10 del decreto).

Vengono tuttavia stabilite delle eccezioni a queste tipologie
di iter autorizzativi.
La prima riguarda il problema di un eccessivo affollamento di impianti
nella stessa zona. L’art. 4.3 del Dlgs rinnovabili stabilisce
che: «Al fine di evitare l’elusione della normativa
di tutela dell’ambiente, del patrimonio culturale, della
salute e della pubblica incolumità, … le Regioni
e le Province autonome stabiliscono i casi in cui la presentazione di
più progetti per la realizzazione di impianti alimentati da
fonti rinnovabili e localizzati nella medesima area o in aree contigue
sono da valutare in termini cumulativi nell’ambito della
valutazione di impatto ambientale.».
La seconda è rappresentata dalla possibile agevolazione
introdotta dall’art. 4.6 del decreto che stabilisce che, con
decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il
Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare, sono stabilite specifiche
procedure autorizzative,
con tempistica accelerata ed adempimenti semplificati, per i
casi di realizzazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili in
sostituzione di altri impianti energetici, anche alimentati da fonti
rinnovabili.
Torniamo ai tre percorsi principali. L’art. 12 del decreto
387/2003 prevedeva un procedimento amministrativo detto Autorizzazione
Unica
, che in via teorica dovrebbe accorciare i tempi
burocratici. Viene infatti denominata “unica”
perché è rilasciata al termine di un solo
procedimento nell’ambito di una Conferenza dei Servizi a cui
partecipano tutte le amministrazioni interessate. Al termine della
Conferenza viene rilasciato un documento che costituisce il titolo per
costruire l’impianto ed entrare in esercizio.
Il Dlgs rinnovabili prevede che il termine massimo
per la conclusione del procedimento unico non può essere
superiore a novanta giorni (in precedenza
erano 180 giorni), al netto dei tempi previsti dall’art. 26
del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 (sessanta giorni, con la regola del
silenzio-assenso), per il provvedimento di valutazione di impatto
ambientale.
Con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il
Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare, previa intesa con la Conferenza unificata verranno poi
individuati, per ciascuna tipologia di impianto e di fonte, gli
interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad
autorizzazione unica, fermo restando il rinnovo
dell’autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate
come sostanziali. Fino all’emanazione di tale decreto non
sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina della
procedura abilitativa semplificata gli interventi da realizzare sugli
impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere
dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni
fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area
destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere
connesse. Per gli impianti a biomassa, bioliquidi e biogas
non sono considerati sostanziali i rifacimenti parziali e quelli totali
che non modifichino la potenza termica installata e il combustibile
rinnovabile utilizzato.

La procedura abilitativa semplificata
(Pas) si applica per l’attività di costruzione ed
esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, prima
assoggettate alla Dichiarazione di inizio attività (Dia), le
principali tra le quali sono indicate nella tavola
seguente (Fonte: sito Internet della Provincia di Monza e
Brianza
).

Fonte

Soglie

Eolica

60 kW

Solare fotovoltaico

20 kW

Biomasse

200 kW

Gas di discarica, gas
residuati dai processi
di depurazione e biogas

250 kW

La Pas prevede che il proprietario dell’immobile o
chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati
dall’impianto e dalle opere connesse presenta al Comune,
mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno trenta giorni prima
dell’effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una
dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli
opportuni elaborati progettuali, che attesti la
compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici
approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non
contrarietà agli strumenti urbanistici adottati,
nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie. Alla dichiarazione sono allegati gli elaborati
tecnici per la connessione redatti dal gestore della rete.
Il Comune deve produrre gli eventuali atti di assenso necessari e deve
produrre il proprio parere sull’attività in
oggetto entro 30 giorni. Decorso tale termine (che viene sospeso nel
solo caso siano necessari altri atti di assenso da parte di altre
amministrazioni diverse da quella comunale), vale il principio di
silenzio-assenso (ossia se non c’è
l’ordine di non effettuare l’intervento da parte
del Comune entro tale periodo, l’attività di
costruzione deve ritenersi assentita).
La realizzazione dell’intervento deve essere completata entro
tre anni dal perfezionamento della PAS. La realizzazione della parte
non ultimata dell’intervento è subordinata a nuova
dichiarazione. L’interessato è comunque tenuto a comunicare
al Comune la data di ultimazione dei lavori.
Ultimato l’intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia
un certificato di collaudo finale, che deve essere trasmesso al Comune,
con il quale si attesta la conformità dell’opera al progetto
presentato con la dichiarazione, nonché ricevuta
dell’avvenuta presentazione della variazione catastale conseguente alle
opere realizzate ovvero dichiarazione che le stesse non hanno
comportato modificazioni del classamento catastale.
Le Regioni e le Province autonome possono estendere la soglia di
applicazione della PAS agli impianti di potenza nominale fino a 1 MWe,
definendo anche i casi in cui, essendo previste autorizzazioni
ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse
dal Comune, la realizzazione e l’esercizio
dell’impianto e delle opere connesse sono assoggettate
all’autorizzazione unica.
Rimane applicabile invece il regime della comunicazione
relativa alle attività in edilizia libera
,
alle stesse condizioni e modalità, e per gli stessi impianti
previsti in precedenza.
Gli interventi di installazione di impianti solari termici sono
considerati attività ad edilizia libera e sono realizzati,
previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio
dei lavori da parte dell’interessato
all’amministrazione comunale, qualora ricorrano
congiuntamente le seguenti condizioni:

  • siano installati impianti aderenti o integrati nei tetti di
    edifici esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento
    della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici
    stessi;
  • la superficie dell’impianto non sia superiore a quella del
    tetto su cui viene realizzato;
  • gli interventi non ricadano nel campo di applicazione del
    codice dei beni culturali e del paesaggio.

Infine, al fine di favorire l’utilizzo del biometano
nei trasporti, le regioni possono prevedere specifiche semplificazioni
per il procedimento di autorizzazione alla realizzazione di nuovi
impianti di distribuzione di metano e di adeguamento di quelli
esistenti; e disposizioni specifiche sono previste, dall’art.
7 del decreto, in materia di energia geotermica.

Il riordino del sostegno alle rinnovabili
La parte del Dlgs rinnovabili che più ha suscitato polemiche
e contrasti è quella del Titolo V, dedicato ai regimi di
sostegno applicati all’energia prodotta da fonti rinnovabili
e all’efficienza energetica attraverso il riordino ed il
“potenziamento” dei vigenti sistemi di
incentivazione.
Alla base di questo riordino, a parte la necessità di
raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione Europea, stanno
diverse preoccupazioni:

  • la flessibilità della struttura dei regimi di
    sostegno, necessaria al fine di tener conto dei meccanismi del mercato
    e dell’evoluzione delle tecnologie delle fonti rinnovabili e
    dell’efficienza energetica. Il che, tradotto in termini
    pratici, indica che gli incentivi devono dirigersi verso le forme
    più efficienti di produzione di energia da Fer, e che devono
    calare al ridursi dei prezzi medi di offerta dei macchinari e degli
    strumenti di produzione di tale energia (considerazione questa su cui
    siamo tutti d’accordo);
  • la volontà di evitare episodi di truffe e
    malversazioni, che si sono purtroppo verificate negli ultimi periodi.
    È infatti espressamente previsto (art. 23.3) che
    «non hanno titolo a percepire gli incentivi per la produzione
    di energia da fonti rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti,
    i soggetti per i quali le autorità e gli enti competenti
    abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli
    impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o
    documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o
    mendaci». Questa condizione ostativa si applica, per 10 anni
    dalla data dell’accertamento, sia ai diretti beneficiari
    dell’incentivo, sia ai soci, agli amministratori e ai
    responsabili tecnici e ad ogni altra persona fisica e giuridica
    coinvolta nelle false dichiarazioni. Si tratta ovviamente di una
    previsione corretta, salvo poi non dover generalizzare: non sono stati
    gli incentivi a creare episodi di truffa, ma il mancato controllo sul
    loro utilizzo;
  • la riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai
    consumatori. Anche questa è una giusta preoccupazione,
    valida tuttavia soprattutto per i grandi consumatori di energia (le
    grandi imprese energivore, che non a caso si sono subito schierate a
    favore di questo Dlgs rinnovabili): infatti, come fa rilevare lo stesso
    Ministro dell’Ambiente, il peso degli incentivi finora
    attuati in questa fase di sostegno sulle nostre bollette è
    del 3%, contro il 10% della Germania. Un peso molto inferiore a quello
    dovuto all’aumento dei prezzi dei combustibili fossili, e
    pari a un terzo circa di quello relativo allo smantellamento delle
    centrali nucleari chiuse nell’86 e ai vecchi incentivi del
    Cip 6/92.

L’art. 24 del decreto descrive analiticamente i
criteri che saranno alla base dei meccanismi di incentivazione per la
produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti
rinnovabili entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2012. Gli
incentivi saranno differenziati secondo la tipologia di fonte
energetica rinnovabile, della tecnologia impiegata e della potenza
elettrica degli impianti; in questo ultimo caso, saranno in particolare
differenti fra gli impianti di potenza fino a 5 MW di potenza e quelli
superiori (che saranno ammessi a un incentivo assegnato tramite aste al
ribasso gestite dal Gse).
Le modalità per l’attuazione dei sistemi di
incentivazione descritti (per gli impianti che entrano in esercizio a
decorrere dal 1° gennaio 2013), per la selezione da parte del
Gse dei soggetti aventi diritto agli incentivi attraverso le procedure
d’asta, per la transizione dal vecchio al nuovo regime di
incentivazione e infine quelle di aggiornamento e revisione degli
incentivi, sono definite con decreti del Ministro dello Sviluppo
Economico di concerto con il Ministro dell’Ambiente e con il
Ministro delle Politiche Agricole e Forestali, sentite
l’Autorità per l’energia elettrica e il
gas e la Conferenza unificata. Tali decreti saranno adottati entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore del Dlgs rinnovabili (data della
pubblicazione sulla Gu).

Un futuro incerto per il fotovoltaico
Ma il trapasso dal vecchio al nuovo sistema non sarà
indolore, soprattutto per il fotovoltaico.
Gli art. 25.9 e 25.10 prevedono infatti che:

  • le disposizioni del decreto del Ministro
    dello Sviluppo Economico 6 agosto 2010 si applicano alla produzione di
    energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che entrino in
    esercizio entro il 31 maggio 2011
    . Queste disposizioni
    avevano introdotto il terzo Conto energia (si veda il commento
    Finanziare la green economy, incentivi e
    finanziamenti per il fotovoltaico
    ”, fascicolo n.
    10/2010, di questa Rivista), che prevedeva una griglia di incentivi
    dettagliata per fasce di potenza e per tipologia di impianto (su
    edifici abitativi ed altri) valida fino al 2013. Il Dlgs
    rinnovabili dunque annulla dunque la validità del terzo
    Conto energia dal 1° giugno 2011 in poi
    ;
  • per gli impianti solari fotovoltaici che
    entrino in esercizio dal 1° giugno 2011 in poi
    l’incentivazione sarà disciplinata con decreto del
    Ministro dello Sviluppo Economico, da adottare entro il 30 aprile 2011
    ,
    sulla base di alcuni principi, quali:
  • determinazione di un limite annuale di
    potenza elettrica cumulativa
    degli impianti fotovoltaici
    che possono ottenere le tariffe incentivanti;
  • determinazione delle tariffe incentivanti
    tenuto conto della riduzione dei costi delle tecnologie e dei costi di
    impianto e degli incentivi applicati negli Stati membri
    dell’Unione europea;
  • previsione di tariffe incentivanti e di
    quote differenziate
    sulla base della natura
    dell’area di sedime (cioè della superficie su cui
    vengono posti gli impianti).

Non dobbiamo aspettare quindi molto per sapere quali saranno
le nuove norme per gli incentivi al fotovoltaico.
Dobbiamo però fare alcune considerazioni a questo riguardo:

  • l’industria del fotovoltaico ha prodotto
    occupazione
    negli ultimi 3 anni in misura rilevante.
    Nomisma energia calcola che gli addetti a questo settore erano 18.324 a
    fine 2010, ma se si aggiungono tutti gli installatori, i servizi
    annessi e l’indotto, si supera comodamente il numero di
    50.000 lavoratori interessati. Il settore delle Fer (50.000 addetti
    diretti, 120.000 con l’indotto) è stato uno dei
    pochi che in questi 3 anni di crisi ha creato nuovi posti di lavoro;
  • poiché si partiva da zero e i costi degli
    impianti sarebbero stati proibitivi senza alcun sostegno pubblico, la
    prima fase di incentivazione era indispensabile per avviare questa
    nuova industria. Ora è giusto che gli incentivi
    diminuiscano, ma non che cessino di colpo al raggiungimento di una
    certa soglia complessiva. L’obiettivo degli 8
    GWe può essere tranquillamente superato senza tappezzare il
    paese di pannelli fotovoltaici e senza devastare le campagne
    .
    Al riguardo occorre dire che il decreto giustamente prevede
    all’art. 10 che per gli impianti solari fotovoltaici con
    moduli collocati a terra in aree agricole, l’accesso agli
    incentivi statali è consentito a condizione che: a)
    la potenza nominale di ciascun impianto non sia superiore a 1 MW e, nel
    caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario, gli impianti
    siano collocati ad una distanza non inferiore a 2 chilometri; b)
    non sia destinato all’installazione degli impianti
    più del 10 per cento della superficie del terreno agricolo
    nella disponibilità del proponente. Tali limiti non si
    applicano ai terreni abbandonati da almeno cinque anni e agli impianti
    solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole che
    hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in
    vigore del decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il
    conseguimento del titolo entro il 1° gennaio 2011, a condizione
    in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno
    dalla data di entrata in vigore del decreto;
  • qualsiasi atteggiamento si intenda adottare al riguardo del
    Conto energia, l’importante è che le regole
    siano chiare e definite per diversi anni.
    Le banche che hanno stabilito linee di credito ad hoc per finanziare
    privati ed imprese che installano impianti fotovoltaici e le imprese
    che devono determinare investimenti produttivi e strutture
    occupazionali devono poter ragionare con una visione di lungo periodo e
    su dati certi, che non cambino ogni 5-6 mesi.

Per quanto riguarda i Certificati verdi (Cv),
il Dlgs rinnovabili prevede che il Gse ritira annualmente i Cv
rilasciati per le produzioni da fonti rinnovabili degli anni dal 2011
al 2015, eventualmente eccedenti quelli necessari per il rispetto della
quota d’obbligo. Il prezzo di ritiro dei predetti certificati
è pari al 78% del prezzo
stabilito dalla legge Finanziaria 2008 (art. 2.148). Tale legge
stabilisce che, a partire dal 2008, i CV emessi dal GSE sono collocati
sul mercato a un prezzo, riferito al MWh elettrico, pari alla
differenza tra il valore di riferimento, fissato in sede di prima
applicazione in 180 euro per MWh, e il valore medio annuo del prezzo di
cessione dell’energia elettrica definito
dall’Autorità per l’energia elettrica e
il gas registrato nell’anno precedente e comunicato dalla
stessa Autorità entro il 31 gennaio di ogni anno a decorrere
dal 2008. I Certificati Verdi sono il principale strumento di
finanziamento di impianti di produzione di energia da Fer di grandi
dimensioni, con esclusione del fotovoltaico (quindi impianti eolici, a
biomasse, idroelettrici e geotermici di nuova costruzione). I prezzi di
ritiro dei Cv sono indicati sul sito del GSE. Anche in questo caso, non
è tanto la riduzione dall’80% al 78% del calcolo
del prezzo dei Cv che preoccupa, quanto il fatto che esso si applichi
solo per 5 anni, mentre chi costruisce un impianto di questo tipo ha
bisogno di chiedere finanziamenti e redigere un business plan per
durate ben superiori (10-15 anni), nell’incertezza dei ricavi
per tutto il periodo oltre i primi anni.
Infine, dell’attuale terzo strumento di sostegno alle
rinnovabili, la Tariffa onnicomprensiva, che serviva a finanziare
invece i piccoli impianti (non fotovoltaici), nel Dlgs rinnovabili non
si parla. È perciò da intendersi che essa
verrà sostituita dai nuovi strumenti di cui si dava cenno in
precedenza.

Conclusioni
Il Dlgs rinnovabili poteva essere un punto di partenza per un rilancio
ordinato delle energie rinnovabili nel nostro paese, dopo una prima
fase impetuosa ma inevitabilmente caotica. Non è stato
così, perché, accanto ad alcune soluzioni
opportune, restano aperte troppe questioni irrisolte.
È chiaro che alcuni eccessi della prima fase andavano
limitati, ma il risultato finale del decreto è quello di
scontentare un po’ tutti: gli ambientalisti, le imprese del
settore, la Confindustria, le banche che hanno finanziato molte
operazioni, le banche estere che hanno organizzato operazioni di
project finance e così via. Il decreto contiene criteri
largamente condivisibili sotto diversi aspetti. Quello che tuttavia non
è andato giù, un po’ a tutti,
è stata la contraddizione fra questo decreto e le misure
adottate pochi mesi prima ed il fatto che non sia possibile programmare
finanziamenti e piani industriali quando non è chiaro il
quadro degli incentivi nel medio-lungo periodo.
La situazione peraltro è fluida: l’incidente
nucleare di Fukushima, con il suo pesante impatto emotivo a livello
mondiale, ha indotto il governo ad una pausa di riflessione sulla
reintroduzione di questa fonte, su cui pesa anche l’ombra del
referendum indetto per il prossimo 12 giugno. Il Dlgs rinnovabili
è nato prima di questa tragedia, e non è detto
che, viste anche le reazioni che ha suscitato, non ci siano delle
variazioni. In ogni caso, entro il 30 aprile andrà emesso il
nuovo decreto sugli incentivi al fotovoltaico, ed entro settembre
l’altro decreto che farà il punto sulla materia e
fornirà i contenuti delle nuove incentivazioni. Quindi la
materia è bollente, e ne riparleremo presto.

*Consulente di finanza e internazionalizzazione, professore a contratto di Finanza Aziendale Internazionale all’Università di Padova e docente del Master in Commercio Internazionale

 

(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento
Media)

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