Analizzato in un’indagine qualitativa internazionale condotta da Firefly Millward Brown, l’interesse dei brand a cogliere le potenzialità del Web 2.0 per attivare nuove relazioni con i consumatori, da noi trova terreno fertile. Non senza rischi.
Oltre 700 miliardi di minuti al mese trascorsi su Facebook e l’equivalente di 24 ore di contenuti scaricati al minuto da YouTube devono essere sembrati a Firefly Millward Brown un ottimo motivo per dar corpo a “The Language of Love in Social Media”, indagine qualitativa condotta a livello internazionale in 15 paesi nel mondo coinvolgendo oltre 400 consumatori di social blogger, social media, diari digitali e blog, per poi essere calata nel contesto nostrano rivolgendosi a responsabili marketing e di ricerca di aziende italiane o operanti in Italia in diversi ambiti di business. Obiettivo: capire com’è vissuta dai consumatori la presenza dei marchi nei social media e sull’impatto che quest’ultimi hanno sulla percezione e sulla co-costruzione di un brand.
Ma nulla di nuovo batte sotto il sole dei social network, se non la volontà del nuovo brand globale FireFly di dar corpo al proprio nome illuminando, letteralmente, comportamenti e atteggiamenti dei consumatori, che Rob Hernandez, global brand director FireFly Millward Brown, ricolloca «in un contesto socioeconomico sempre più variabile e difficilmente prevedibile». Tuttavia, e questo riguarda il nostro contesto d’azione, se nel resto del mondo l’interesse dei brand a cogliere le potenzialità del Web 2.0 per attivare nuove relazioni con consumatori dà adito ad atteggiamenti ancora cauti, in Italia non è così. Stando a quanto evidenziato dalla ricerca, le aziende di casa nostra risultano, infatti, tra le più aperte all’utilizzo dei social media a fini di marketing.
Qui, come nel resto del mondo, le interazioni tra brand e consumatori, innescate e vissute all’interno dei social media, vanno immaginate come una relazione analoga al corteggiamento (da qui il titolo dell a ricerca – ndr) e allo stabilirsi di un legame affettivo solido. In tal senso, il rapporto che si determina tra brand e consumatore può essere descritto nelle quattro fasi tipiche di ogni corteggiamento, vale a dire Romance, che si focalizza sulla scoperta della marca e sulla nascita di un’attrazione verso di essa; Familiarization, in cui la relazione diventa più intima e la marca tende a dare più spazio al consumatore; Power Struggle, che consolida ulteriormente la fiducia nel marchio mettendosi sullo stesso piano del consumatore e Stability, durante la quale si arriva a percepire il brand come un amico grazie al clima di fiducia instaurato.
Il tutto tenendo conto, come più volte ricordato da Hernandez, che quella sulla Rete è una comunicazione a due vie, «give and get», e che i rischi di perdita completa in termini di controllo e credibilità sono direttamente proporzionali alla capacità dei brand di «saper ascoltare e costruire una relazione credibile ricordandosi, però, che le vendite non avvengono sui social media e che le variabili culturali di ogni singolo paese vanno costantemente tenute da conto». Tornano, allora, a ribadirsi una serie di evidenze che, nell’era del marketing 2.0, vanno «dal saper agire come amico e non come azienda, al costruire relazioni che non mirino alla vendita pura, visto che quella in cui ci si trova – conclude il manager – è una community, non un marketplace».
Ciò detto, a entusiasmare gli interlocutori italiani, chiamati da FireFly a rispondere a sette quesiti mirati, è soprattutto il fatto di vivere i social media come se si trattasse di “una nuova impresa per l’impresa” subendo un fenomeno di cui, a dire di Roberto Mauri, strategic consultant di Millward Brown FireFly Italia, «si percepiscono gli effetti ma non le cause». Ciò detto, i vantaggi a impegnarsi come azienda sarebbero quelli di «avvicinarsi maggiormente ai consumatori, raccogliere feedback in modo maggiormente genuino percependo una visione più ricca sul proprio brand e cogliendo, allo stesso tempo, la possibilità di far cambiare idea ai consumatori con iniziative estremamente mirate». In tutto questo, i rischi non mancano e assumono i contorni di processi a elevato time consuming in cui la critica «non solo va tollerata, ma anche elaborata».
Così, fornendo come linee guida regole che parlano di trasparenza, rispetto «in termini di privacy», disponibilità «a offrire informazioni corrette» e autorevolezza, quello che manca ancora alle aziende italiane è «una specifica e ben delineata strategia d’azione nei social media. Oggi, in Italia – è l’analisi di Mauri -, il rapporto tra brand e consumatori attraverso i social media pare ancora focalizzato su una prima fase di seduzione. Una delle difficoltà più evidenti dei brand in questo contesto contesto è riuscire a mantenere coerenza tra la propria presenza offline e quella online». Ecco che allora i consigli pratici a cura di Michela Russo, client service qualitative di Millward Brown FireFly Italia, parlano di sviluppare strategie e linee d’azione chiare, «perché i social media consumer stanno diventando sempre più esperti».
Per questo, alle precedenti evidenze già enunciate, se ne aggiungono altre due che, sull’esperienza di quanto emerso sul nostro mercato, ricordano alle aziende che vogliono cimentarsi in questo contesto, che «devono farlo applicando un principio di trasparenza alla pari – conclude Russo -, in cui il brand si scopre e la mente si mostra. Nella positiva spirale a informare ascoltare, raccontare e raccontarsi, una forte spinta la dà, inoltre, lo storytelling, finalizzato alla creazione di racconti che diano senso emotivo alle singole esperienze».
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