Stando a Intrum Justitia, attendere mediamente due mesi prima di sollecitare un credito significa veder sfumare il 20% delle possibilità d’incasso. E si arriva addirittura al 50% se i mesi passano a sei. Ma il timore di perdere i clienti resta alto.
Nonostante i dati dell’European Index 2011 condotto contemporaneamente in 25 Paesi europei da Intrum Justitia nei primi tre mesi di quest’anno quantifichino in 132 miliardi di euro la perdita sui crediti (che, se vantati dalle aziende europee nei confronti della Pa, superano i 180 miliardi), sono ancora poche le imprese che utilizzano soluzioni di credit management, o gestione del credito.
Stando ai dati ufficializzati nell’indagine condotta presso realtà aziendali di tutte le dimensioni,
capitanate, nel 35% dei casi, da imprese sotto i 19 dipendenti, attive
in tutti i principali settori merceologici e rappresentativa sia di
clienti B2c, che B2b e della Pubblica amministrazione, il 65% delle aziende interpellate aspetta mediamente 92 giorni prima di esternalizzare una qualsiasi attività di recupero crediti.
La media sale pericolosamente in Italia, dove il 56% del campione afferma di ricorrere a società specializzate addirittura dopo 128 giorni. «Il che – afferma Olivier Capon, amministratore delegato Intrum Justitia – porta la qualità del credito a deteriorarsi, visto che attendere mediamente due mesi per sollecitare un credito significa perdere il 20% delle possibilità d’incasso, che salgono a quota 50% se i mesi passano a sei».
Come se non bastasse, per recuperare terreno, le aziende possono percorrere una sola strada, che passa dal realizzare fatturazioni extra, non proprio facili da ottenere di questi tempi. «Negli ultimi tre anni, nel segmento privato qualcuno ci ha ascoltati – commenta il referente di Intrum -, visto che in questo segmento i tempi di pagamento in Europa si sono ridotti di dieci giorni. Peccato che in ambito B2b i tempi di pagamento siano cresciuti di ulteriori 50 giorni, nel timore di perdere il rapporto commerciale con i clienti».
Non va meglio in Italia, dove l’indebitamento delle aziende resta stabile sui livelli (negativi) degli scorsi anni, mentre peggiora drasticamente quello delle famiglie «evidenziando le difficoltà oggettive dei privati a conteggiare le proprie uscite mensili rispetto alle entrate». Il ritardo “intenzionale” rimane, poi, la causa principale dei ritardi nei pagamenti e incide negativamente sulle aziende sia in termini di contrazione della liquidità che di aumento delle perdite. «Il che – conclude Capon – porta oltre il 53% delle aziende nostrane interpellate, a prevedere un’ulteriore crescita del rischio nei prossimi mesi».
- Ritardi nei pagamenti: Italia maglia nera in Europa
- Le banconote continuano a dominare nei piccoli pagamenti
- Gli affari vanno male? Il fisco proroga le scadenze dei pagamenti
- Dilazione nei pagamenti: i peggiori? Gli enti pubblici
- I pagamenti al tempo della Sepa
- Aumentano i ritardi nei pagamenti delle imprese