Le Apps sono mature per le medio-grandi imprese, per fare cose nuove, anche smettendo le vecchie. Una linea diretta collega i datacenter a Chromebook. Ce lo spiegano Amit Singh e Luca Giuratrabocchetta.
Creation and destruction. Amit Singh, vice president Global sales e Business development di Google Enterprise, che è venuto a Milano per illustrare la linea che la società intende tenere per sviluppare il cloud nelle imprese, lo ha ripetuto molte volte.
Con questa sintesi ha inteso trasmettere il senso del cambiamento che è nel genoma nel cloud. Non solo in quello di Google, sia chiaro, ma ovunque. «Prendete il fenomeno Groupon – ha detto -. Chi poteva immaginarselo. Ora c’è e spinge all’emulazione».
Il senso del create and destroy è proprio questo: immaginarsi cose nuove, farle e smettere quelle passate: «quello che sta accadendo è che le imprese possono creare quello che vogliono, nettamente più velocemente che in passato e con costi imparagonabili. Le applicazioni su cloud ridefiniscono i piani».
Google Enterprise cosa intende fare per i Cio?
«Il nostro ruolo è di portargli gli asset tipici di Google (dalle App al search, alla geolocalizzazione, ndr.) per semplificargli la tecnologia, ridurre i costi e consentirgli di creare modelli di business nuovi».
Per esempio come quello che consente Chromebook, che potrà essere disponibile in Italia nel giro di sei settimane. Un sistema che per Singh consente al Cio di «abbattere i costi di possesso del client. Costa meno di un euro al giorno, compresa la connessione 3G. E non fa perdere i dati», cioè il valore d’azienda, essendo questi sempre residenti nel datacenter a cui il cloud laptop si appoggia.
E tutto all’insegna della velocità operativa, basata sul browser Chrome.
In questo modello centrale è il datacenter: «stiamo facendo grandi investimenti, di miliardi di dollari, per potenziarli in tutto il mondo. Ne abbiamo appena aperto uno in Finlandia». Sono next-gen? «Sì, sia sotto il profilo del fabric, dove risiede il nostro stack di sicurezza, sia dal punto di vista della gestione energetica o delle tecniche di raffreddamento».
Ipotizzabile averne uno in ogni Paese in cui Google opera? Ci si potrebbe arrivare: «A noi interessa aumentare la nostra capacità elaborativa ovunque».
Ma le aziende si possono accontentare di applicazioni, search e geospazialità, o c’è dell’altro? Per esempio, la Business intelligence?
«Google ha creato la propria fama sugli analytics, ha elaborato algoritmi che ha usato su se stessa, per il proprio business e li ha messi a disposizione come servizio. Altri potranno diventare servizi di prediction», con modelli di prezzo probabilmente non dissimili da quelli delle application, si apprende (40 euro all’anno per utente).
Un bilancio di Google Enterprise in Italia lo offre il country manager italiano, Luca Giuratrabocchetta: «Siamo presenti dal 2007 e da allora siamo in costante crescita, al raddoppio annuale. Serviamo clienti privati e pubblici. Il primo componente che abbiamo fornito è stata l’appliance di search, oramai presente in tutte le Regioni, nelle banche, nell’industria. Le apps sono partite forte presso le Pmi, ma ora puntiamo verso le realtà con migliaia di dipendenti».
Esempi dell’apporto creativo delle apps vanno dalla sincronizzazione di Google Calendar con il Centro unico di prenotazione di una Asl friulana all’utilizzo di Google Sites per il deployment di Sap in quattro sedi di Fracarro, ideato dal Cio, il google-enthusiast Claudio Umana, all’utilizzo della tecnologia geospaziale nelle utility.
Tutti casi che spingono Giuratrabocchetta a dire che la creatività del cloud è finalmente «uscita dai convegni per entrare nelle aziende».
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