L’Autorità ha deciso di disporre l’inibizione dell’accesso ai siti Internet della società “Private Outlet”, un negozio virtuale che commercializza in Rete prodotti di famose marche. Ed è polemica.
E’ di nuovo bufera sulle modalità utilizzate per inibire l’accesso a quei siti Internet ritenuti colpevoli di aver violato l’altrui diritto d’autore, di aver posto in essere attività di diffamazione o pratiche commerciali scorrette. L’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), dopo aver ricevuto numerose segnalazioni e dopo aver condotto una serie di verifiche, ha deciso di disporre l’inibizione dell’accesso ai siti Internet della società “Private Outlet“, un negozio virtuale che commercializza in Rete prodotti di famose marche, compresi nomi molto noti nel campo della moda.
Secondo quanto si legge nel provvedimento dell’AGCM (pagina 91 di questo documento), il sito “Private Outlet” fornirebbe “informazioni non rispondenti al vero in merito alla reale disponibilità dei prodotti offerti in vendita“. Inoltre, “verrebbe ritardata, o di fatto negata, la restituzione degli importi corrisposti per l’acquisto delle merci offerte in vendita, anche su richiesta dei consumatori a seguito dell’omessa consegna.
Verrebbero ostacolati i diritti contrattuali riconosciuti agli acquirenti attraverso l’omessa risposta ai reclami e la scarsa accessibilità della linea telefonica dedicata al servizio clienti; contrariamente agli obblighi previsti dal regime della garanzia legale di conformità, di cui alle
disposizioni del Codice del Consumo, sarebbe ostacolata la restituzione dei prodotti difformi da quelli ordinati“.
Per tali motivi, l’AGCM ha obbligato “Private Outlet” a sospendere le sue attività sul territorio italiano ed ha obbligato i provider Internet del nostro Paese a bloccare l’accesso ad una serie di nomi a dominio rispondenti allo stesso indirizzo IP. Ed ecco che, da poco, digitando un nslookup www.privateoutlet.com si ottiene una risposta DNS assolutamente fuori standard ossia l’IP 127.0.0.1 che, come noto, è l’indirizzo di loopback che corrisponde al sistema locale. Inutile osservare che utilizzando un server DNS per la risoluzione degli stessi nomi a dominio oggetto del provvedimento (ad esempio i DNS di Google), questo viene correttamente risolto.
L’avvocato Fulvio Sarzana di S. Ippolito osserva: “un’altra Autorità amministrativa indipendente ovvero l’Antitrust, (e non l’AGCOM che ha rivendicato a sé tale compito per il tema del copyright) per la prima volta in Italia decide di imporre autonomamente a 218 provider italiani l’inibizione all’accesso per i propri utenti in relazione ad alcuni portali di vendita di prodotti outlet residenti all’estero“.
Al centro del dibattito non c’è certo l’opportunità di attivarsi a tutela dei consumatori ma, come si fa presente da più parti, la metodologia che è stata seguita ed applicata. “La competenza ad emettere provvedimenti cautelari inibitori nei confronti di soggetti terzi ad oggi è stata sempre esercitata dalla magistratura ordinaria, alla quale, peraltro, ci si può rivolgere (…) per rivedere i presupposti di legittimità della misura“, scrive Sarzana che parla di “sequestro preventivo in via amministrativa“.
Ed è proprio questo il punto che viene contestato con maggior vigore: un’Autorità amministrativa avrebbe rivendicato per sé un potere che dovrebbe competere esclusivamente ai giudici.
“Seguendo tale impostazione“, chiude Sarzana, “dovremo attenderci ad esempio che l’Antitrust in caso di vendite effettuate tramite piattaforme di aste, provveda a ordinare in via cautelare al titolare della piattaforma (intermediario) la cancellazione di tutti gli account che non rispettano i dettami del codice del consumo, imponendo del pari ai provider di non dare accesso a quella stessa piattaforma“.
Posizione sostanzilamente indentica anche quella dell’avvocato Guido Scorza, residente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione, che osserva: “il vaso ormai è colmo ed il recente provvedimento con il quale l’Autorità per la concorrenza ed il mercato ha ordinato a tutti i provider italiani di bloccare l’accesso all’indirizzo IP attraverso il quale sono accessibili i siti internet di una società rea di aver posto in essere una serie di pratiche commerciali scorrette, potrebbe rappresentare la goccia che lo fa traboccare“.