Lo afferma Giovanni Calvio di Ibm. Che ironizza: il nastro è morto solo per chi non ce l’ha. E in questi giorni il tape compie 60 anni.
In questo mese di maggio la tecnologia nastro di Ibm compie 60 anni.
Una ricorrenza significativa, dopo quella del centenario della società dello scorso anno, perché il tape ha contribuito senza dubbi alla digitalizzazione delle imprese.
Per la precisione, il 21 maggio del 1952 la società rilasciò il proprio primo computer da produzione, l’Ibm 701, che era accompagnato da un sistema di storage basato su nastro magnetico.
Il fatto ci ha spinto a chiederci: “il nastro vive e funziona ancora nelle imprese?”
Per avere una risposta concreta ci siamo rivolti a Giovanni Calvio, Manager of Storage platform di Ibm, il quale ha ironicamente chiosato che “il nastro è morto per chi non ce l’ha“.
L’affermazione sottende un fatto sostanziale: in molte realtà, specie quelle che devono adempiere a normative che impongono misure di conservazione, il virtuosismo frutto dell’integrazione fra archiviazione fisica su nastro e backup su disco, meglio se gestito con sistemi di deduplica, produce efficienza.
Produce Roi, insomma, con meccanismi di convenienza economica gestionale.
Risulta da studi sull’ottimizzazione delle infrastrutture storage. Dalla pratica, insomma.
E la testimonianza viene dal mercato: l’anno scorso la vendita di nastri fisici ha fruttato a Ibm un +15%.
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