Ecco perché la mobility deve estendersi integrando soluzioni di security, desktop virtualization e collaboration, per un approccio unificato, wireless, wired o Vpn. che sia, al nuovo posto di lavoro.
In grado di strappare l’attenzione all’imperante cloud computing, il Byod rappresenta anche per Cisco una nuova frontiera.
Palesata da mesi l’intenzione di potenziare l’offerta di servizi indirizzando sicurezza e data loss prevention, a parlarci della vision del fornitore di networking a stelle e strisce in merito al Bring your own device è Paolo Del Grosso (nella foto).
Arruolato in Cisco Italia nel 1996 con il ruolo di channel account manager e da un anno borderless network architecture leader, è lui a denunciare l’uso “improprio” che molti fanno di un trend nato Oltreoceano per indicare la volontà di alcuni dipendenti di utilizzare anche in azienda il proprio dispositivo mobile, tablet o smartphone che sia, «ma che oggi, nel quadro della gestione “allargata” dell’It, dovrebbe essere esteso a tutti quei device multipiattaforma calati in azienda non per forza di cose dal basso».
Da qui alla visione di uno Unified Workspace «che combina tutti gli elementi necessari a permettere allo spazio di lavoro di muoversi insieme con le persone» il passo è breve. E non potrebbe essere altro che così, visti i vantaggi in termini di produttività e flessibilità percepita che il fenomeno del Byod può rappresentare per quelle realtà «che – sempre secondo Del Grosso – saranno in grado, con un approccio olistico, scalabile e capace di rispondere alle esigenze di mobilità, sicurezza, virtualizzazione e gestione delle policy, di tenere sotto controllo i costi di gestione fornendo al tempo stesso esperienze ottimali e di sicurezza adeguate».
A dirlo non sono solo i dati del Cisco Ibsg Horizons che, prestato ascolto a 600 manager e responsabili dei sistemi informativi statunitensi, ha evidenziato come l’It «stia accettando, e in alcuni casi addirittura adottando, la tendenza a portare sul luogo di lavoro i dispositivi personali» ma anche l’esperienza riportata sul mercato italiano «dove – conferma il nostro interlocutore – sono sempre più frequenti i casi di case farmaceutiche, banche, retail e società di consulenza interessate a dotare di interi parchi iPad ricercatori, forza commerciale e personale diversamente impegnato lungo tutto il territorio».
Qui il fenomeno da analizzare non riguarda più i dispositivi mobile “ammessi” in azienda ma chi si adopera perché quest’ultimi vengano adottati.
«Sempre più spesso – ricorda Del Grosso – è il board a imporne l’utilizzo demandando alla parte It la messa in sicurezza delle tecnologie implementate sia dal punto di vista della rete e dei contenuti scaricabili, sia per impedire il furto di informazioni aziendali sensibili».
In termini di policy, a prescindere dalla presenza di device wireless, wired o remoti collegati in Vpn, l’approccio aziendale alla sicurezza dev’essere unificato attraverso software in grado di identificare l’utente che si connette «ma anche il dispositivo che sta utilizzando, in quale luogo e in quali orari della giornata, così da consentire – è l’opportuna precisazione – solo un certo tipo di accesso a una certa tipologia di informazioni».
Scegliere quali è il vero grattacapo cui sono chiamati a occuparsi i Cio ai giorni nostri.
Una volta stabiliti confini e policy, nelle loro mani fioccano strumenti software di Mobile device management per intervenire “chirurgicamente” sul dispositivo ed eseguire, per esempio in caso di furto, operazioni da remoto capaci di rimuovere dati dalle cartelle aziendali, formattare la posta elettronica e molto altro.
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