In Italia una copia di software su due è pirata. La perdita di migliaia di posti di lavoro, le pesantissime riduzioni salariali e le mancate entrate fiscali non sono, a quanto pare, validi deterrenti.
Tradotta
in cifre, in Italia la pirateria informatica ha provocato, nel solo 2000, danni
per 900 miliardi di lire e, nell’arco di 5 anni, tagli superiori ai 37mila posti
di lavoro.
Questo il dato che più ci riguarda e che fa capo all’indagine
Global Software Piracy Study, commissionata da Bsa, l’organizzazione
internazionale non profit che ha come ragion d’essere la lotta contro la
duplicazione illegale di software.
Secondo l’indagine, non solo nel 2000 le
attività di pirateria non hanno subito una riduzione, ma sono anzi
cresciute di un punto percentuale, attestandosi al 37% rispetto al 1999.
Sempre nello stessso periodo di tempo, le perdite economiche hanno
registrato una flessione del 3,5%, passando da 12,2 a 11,7 miliardi di
dollari.
A parere degli analisti, si tratterebbe di un
fenomeno attribuibile non tanto a un decremento della pirateria, quanto
alla concomitanza di alcuni fattori economici. Nel 2000, infatti, grazie al
positivo andamento del dollaro sui mercati valutari di tutto il mondo, i prezzi
del software hanno continuato a calare; nel contempo, la crescita dei prodotti
per le aziende ha registrato un certo rallentamento.
In questo scenario, l’area dell’Asia/Pacifico ha visto crescere
negativamente, dal 47% al 51%, il tasso di reati informatici
commessi all’interno delle proprie aree geografiche. Le perdite economiche sono state pari a 4
miliardi di dollari, il 35% del totale indagato. Cifre queste che non stupiscono
se si considera che, Paesi come Vietnam, Cina e Indonesia, in pieno sviluppo
informatico, hanno fatto registrare percentuali in cui il software aziendale
viene piratato rispettivamente nel 97, 94 e 89% dei casi.
Secondo l’indagine
Bsa, si tratta purtroppo di tassi che hanno finito per vanificare le
flessioni riscontrate altrove, come nel caso dell’Europa Occidentale e del
Nordamerica. Entrambe le regioni citate hanno infatti registrato perdite
per circa 3 miliardi di dollari. Dati questi che evidenziano come
si tratti comunque di un fenomeno negativo, in quanto indice di una forma di
illegalità più radicata e difficile da eliminare.
Alle spalle soltanto di Grecia e Spagna
nella classifica delle nazioni europee con il più alto tasso di software
aziendale piratato, il nostro Paese è in attesa che la recente legge
248 del settembre 2000 dia i suoi frutti. Quest’ultima, chiamata a incrementare
la tutela giuridica della precedente legge 171 bis, prevede una pena pecuniaria
dai 5 ai 30 milioni di lire, e fino a tre anni di reclusione. Ma la vera
rivoluzione dovrebbe essere insita in ciò che la nuova legge persegue, ovvero,
non più solo chi duplica materiale protetto da copyright a scopo di lucro, ma
anche chi lo fa a fini di profitto. Nella formula attualmente in vigore
sono dunque racchiusi sia concetti quali l’arricchimento e la
commercializzazione, sia i risparmi di spesa realizzati dalle aziende che
agiscono contro la legge.
Secondo Paolo Ardemagni,
attuale presidente di Bsa Italia, nonché vice presidente di Symantec: “La
pirateria software continua a rappresentare una sfida per l’industria e
l’economia globale. La nostra mission è la sensibilizzazione del pubblico
aziendale, e non solo di quello, sulla regolarizzazione delle licenze. Non è
infatti pensabile che figure emergenti quali gli Asp, che “affittano”
le aplicazioni alle aziende, possano a breve risolvere il fenomeno della
pirateria. Proprio come si continua a vendere libri anche nell’era di Internet,
si continueranno a vendere licenze di software alle aziende. Speriamo sempre più in
maniera legale”.