Almeno sei stati, con Massachusetts e California in testa, hanno già fatto sapere di non essere disposti a sottoscrivere l’intesa nella forma annunciata. Ma sarà difficile arrivare a un fronte comune di tutti e diciotto i procuratori generali coinvolti. L’Europa, intanto, procederà con la propria i
In attesa dell’imminente pronunciamento ufficiale, alcuni fra i diciotto stati americani coinvolti nel processo antitrust contro Microsoft hanno fatto sapere di non voler supportare l’accordo siglato con il Dipartimento di giustizia Usa. Il primo a pronunciarsi in tal senso è stato il Massachusetts, attraverso il procuratore generale Tom Reilly, secondo il quale, l’intesa contiene troppe eccezioni, che consentirebbero a Microsoft di aggirare le restrizioni imposte al proprio comportamento. In un incontro avuto con il mediatore nominato dalla Corte federale, altri stati, come California e Iowa, hanno confermato le perplessità, chiedendo un linguaggio più fermo ed esplicito verso ciò che Microsoft potrà o dovrà fare per non agire scorrettamente sulla concorrenza.
Difficile sarà, tuttavia, assistere a un fronte compatto d’opposizione, poiché alcuni stati, come New York e Ohio, sarebbero invece propensi a sottoscrivere l’accordo. Tuttavia, anche se permanesse una minoranza di contrari, potrebbe bastare per riportare tutte le parti in causa nell’aula presieduta dal giudice Colleen Kollar-Kotelly per definire quali dovranno essere i rimedi imposti a Microsoft, in modo da mettere la parola fine a un processo ormai in essere da tre anni. Va ricordato che, qualora non si raggiungesse alcun accordo in questa fase, il futuro pronunciamento della Corte federale è atteso per l’11 marzo prossimo.
Intanto, la Commissione europea ha fatto sapere, per bocca della portavoce Amelia Torres, di voler continuare nella propria indagine sui comportamenti di Microsoft nel Continente, anche se il procedimento in corso negli Usa si concludesse con un accordo. La fase investigativa è ancora in fase preliminare e la casa americana deve ancora rispondere alle obiezioni avanzate, nello scorso agosto, dall’Ue in merito alle eventuali pratiche illegali commesse per estendere il proprio dominio nel mondo pc.