Di fronte all’aumento dei prezzi dei componenti, pare non resti altro da fare che ribaltare il costo sugli utenti finali. Qualcuno lo fa alla chetichella, qualcuno lo dichiara.
Sembra quasi un paradosso, quello che stanno in questi giorni vivendo i principali produttori di personal computer. In un mercato che non riprende, anzi, se vogliamo dirla tutta, che stenta a tirare, si trovano in questo momento a fare i conti con aumenti di prezzo non previsti o prevedibili, ma soprattutto non altrimenti assorbibili.
Sono aumentati i prezzi dei Tft, sono aumentati i prezzi delle memorie. La causa: il recente terremoto a Taiwan, che ha messo in crisi molte unità di produzione. Meno memorie, meno Lcd, più alti i prezzi. È la regola del gioco.
Ma a quanto pare il gioco è cambiato. In precedenza, a fronte di analoghi eventi, i produttori cercavano di assorbire i costi di produzione più elevati giocando sui margini. Ora pare non ci riesca più nessuno. Qualcuno ha agito alla chetichella e ha ribaltato gli aumenti direttamente sul prezzo all’utente finale. Qualcuno, forse più coraggiosamente, ha deciso per un “outing”, forse spiacevole ma senza dubbio più onesto. Ha aperto il “fuoco” Apple, che ha dichiarato di dover aumentare i prezzi dei propri iMac di 100 dollari, seguita da Nec, Dell, Sony. Per tutti, la stessa motivazione: memorie e Tft hanno subito incrementi dal 10 al 20% e certe scelte diventano obbligate.
Per loro fortuna, queste giustificazioni sono pienamente accettate da analisti quali ad esempio Gartner, che sostiene, senza mezzi termini, che non c’è altro da fare: o si diminuisce la memoria installata sulle macchine, o si aumentano i prezzi. Non sono i produttori a volerlo: semplicemente non hanno altre chance. Ed è questa la vera inversione di tendenza in un mercato che da oltre 10 anni ha come parola d’ordine il downpricing.
Resta da capire quanto a lungo durerà il fenomeno. Gartner dice di aspettare la seconda metà dell’anno. Vedremo.