Darl McBride, Ceo della società californiana, ha indirizzato una lettera aperta, nella quale critica tutto il modello free e avanza dubbi di legalità su tutto, da Linux a Gpl.
10 settembre 2003 La sfida di Sco al mondo open source continua, nonostante le critiche ricevute e le perplessità avanzate da più di un analista. Il Ceo della società, Darl McBride, ha scritto una lettera aperta alla comunità “rivale”, per invitarla a cambiare modello di business e gli concetti-base che ne hanno fin qui ispirato l’operato.
Com’è noto, tutto è partito da un’azione legale avviata da Sco verso Ibm, per violazione di brevetti, oggi salita a un valore di 3 miliardi di dollari. Poi, a cavallo dell’estate, l’offensiva si è estesa a Linux, accusato di contenere codice copiato da Unix System V, nel frattempo passato legalmente sotto il controllo di Sco. La società ha contestato la validità della General Publica License (Gpl), proponendo agli utenti che l’abbiano sottoscritta il passaggio a Unix, tramite il pagamento di una licenza da 700 dollari per server, pena citazione in tribunale. La comunità open source ha reagito negativamente alle accuse, ma c’è anche chi ha trasceso, come un avvocato (non si sa altro, per ora), che ha sottoposto Sco ad attacchi alla sicurezza di tipo “denial of service”.
McBride si è attaccato a quest’ultima provocazione per denigrare di nuovo la comunità e ha aggiunto che Bruce Perens, tra i leader di questo mondo “libero”, ha ammesso qualche “passaggio” di codice da Unix System V a Linux. In realtà, Perens avrebbe confermato la cosa, ma legandola a un «errore di programmazione» (nato in casa Sgi, che aveva una licenza del System V, ma solo per uso “interno”), in seguito rimosso proprio per evitare una copia illegale. Non solo, ma lo sviluppatore avrebbe contestato gli esempi (due, per esattezza) di “furto” forniti da Sco, sostenendo che uno non è di loro proprietà o e l’altro deriva da una licenza d’uso perfettamente valida.
Nella sua ultima lettera, McBride sostiene che comunque il codice passato per Sgi e poi finito in Linux basta per avanzare dubbi concreti sulla proprietà intellettuale del sistema operativo open source. Ovviamente, la comunità ha subito ribadito di effettuare controlli costanti sul codice e di sentirsi con la coscienza a posto. Il Ceo di Sco entra anche nel merito del modello di business “aperto”, sostenendo che esso «genera beneficio solo per i grandi vendor, che vendono hardware e servizi costosi e non per Linux stesso. Diverse aziende specializzate hanno fallito e altre stanno lottando per sopravvivere. Poche, invece, sono quelle profittevoli». Il manager ha sfidato il mondo open source a trovare un modello capace di offrire maggiore affidabilità agli utenti aziendali, ritenendo che l’unica strategia vincente sia legata alla proprietà intellettuale.