Big Blue ha preparato un toolkit che introduce i principi autonomici nel framework opensource.
17 febbraio 2004
Ibm è attesa a un rilascio molto importante, per due ordini di motivi. Il primo si chiama autonomic computing. Il secondo si chiama Eclipse.
Insieme, fanno l’Autonomic Computing Toolkit, ovvero un insieme di strumenti per la gestione del software destinata a integrarsi, come fosse un plug-in nel framework open source da lei creato e che, da poche settimane, sta vivendo di propria vita autonoma.
Il toolkit, di imminente rilascio, dovrebbe concentrarsi sulle fasi dell’installazione del software, della determinazione dei problemi, e dell’analisi dei sistemi con le armi dei log.
E come ogni buon toolkit, oltretutto destinato a integrarsi in un framework, prevede abbondante documentazione, esempi e scenari applicativi per gli sviluppatori.
A parlarne è stato David Bartlett, il direttore dell’iniziativa di autonomic computing in Big Blue, una persona con forte retaggio Corba, ovvero esperto di oggetti di business e di architetture riutilizzabili.
E Bartlett ha evidenziato il fatto che la declinazione della logica autonomica su un framework open source come Eclipse produce, da subito, un eco vasta a sufficienza.
Anche perché le piattaforme operative su cui si installa sono una valida matrice: Ibm Aix, Linux, Windows 2000 e Intel.
Uno dei primi risultati che si prefigge il toolkit è quello, indispensabile, di evidenziare le incompatibilità fra le patch rilasciate per le varie piattaforme (i peggiori nemici, sia dell’autonomic computing, sia del grid).
E sul piano dei commenti vale la pena di soffermarsi sui perché del finanziamento di un’iniziativa opensource come Eclipse, ormai chiari, data l’importanza che Big Blue ripone sull’autonomic computing.