Al convegno di apertura di Ict Trade si fa il punto su un sistema Paese che perde competitività e cerca a fatica la strada della ripresa
Non è facile parlare di ripresa proprio nel giorno in cui i principali quotidiani nazionali hanno aperto con la notizia del declassamento italiano nella classifica della competitività stilata dall’Imd, la scuola di management di Losanna, secondo la quale dal 13° posto nel 2001 il nostro Paese sarebbe ormai scivolato alla diciassettesima posizione.
Eppure, è da un dato concreto come questo che forse è opportuno partire, prima ancora di analizzare i se, i come e i quando di una possibile ripresa.
Anzi, da una serie di dati concreti. Quelli snocciolati in una sequenza piuttosto critica da Antonio Emmanueli, presidente di Smau: “Negli ultimi 5 anni abbiamo perso il 20% della nostra capacità di esportazione. Siamo relativamente forti in settori quali meccanica, moda e made in Italy, che perdono peso nell’interscambio economico (passano dal 19 al 18%) e siamo invece estremamente deboli in comparti quali Ict, chimica e trasporti, che invece pesano per il 45% sull’interscambio economico”.
Ma non è tutto. La nostra spesa It è il 2,1% del Pil, laddove in Europa è del 3,4%. La spesa It pro-capite è di 450 euro, contro i 755 euro della media europea.
Tutto questo, porta a una quasi inevitabile conclusione: “C’è un differenziale molto forte con l’Europa che sta portando a un rischio di marginalizzazione. Siamo sempre l’ottavo Paese per ricchezza, ma perdiamo dinamismo. E il dinamismo va a braccetto con l’innovazione. Dobbiamo prendere atto del nostro limite, trasformandolo in potenziale”.
Poco prima dell’intervento di Antonio Emmanueli, altrettanta vis critica aveva messo Maurizio Cuzari, nel suo intervento introduttivo al convegno di apertura dell’edizione 2003 di Ict Trade.
“Non ci sono spunti. Siamo beige. Soprattutto stiamo lasciando sul campo una parte importante del nostro valore. Non siamo capaci di tornare ad essere concretamente propositivi”.
Una critica (in qualche misura autocritica, visto che Cuzari ha dichiaratamente incluso un po’ tutti nel novero delle sue osservazioni) che si è poi tradotta in una domanda tutt’altro che retorica: “Secondo l’Istat in Italia ci sono 70.000 aziende It che si rivolgono a oltre 3 milioni di utenti. Siamo davvero sicuri che ci sia spazio per tutti? Questa non è una crisi di settore: è una crisi di spazio sostenibile”.
È evidente che le regole del gioco sono cambiate. L’importante è capire come.
Cuzari cita tre esempi, che prenderanno la parola dopo di lui: “Miur, Consip e Mediamarket sono il nuovo che avanza. Non sono legati alle abitudini, ai fornitori, allo storico. Partono dal principio che nessuno è insostituibile”.
E se fosse davvero questa la chiave di partenza?