I buchi neri della spesa in Europa spesso si chiamano “servizi”

Da una recente survey, è emersa la difficoltà dei responsabili acquisti di esercitare un saldo controllo sulle uscite di cassa, soprattutto di alcune aree, in primis consulenza, viaggi e It. Le società italiane si differenziano per vari aspetti

Sono stati 240 i responsabili degli uffici acquisti che hanno
partecipato alla ricerca “The european spend agenda 2004“, realizzata
dalla società specializzata Vanson Bourne, per conto di Ariba, e da
ricercatori della London Business School. La survey, condotta a fine
2003 su aziende con un fatturato annuale minimo di 400 milioni di
euro, appartenenti ai settori industria e servizi finanziari in
Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Benelux, ha inteso
studiare le modalità con le quali le imprese gestiscono i propri
budget, evidenziando l’esistenza di “buchi neri” a causa di una
ridotta visibilità e di uno scarso controllo sulla spesa. Più del 50%
degli intervistati ha ammesso di esercitare solamente una verifica
minima, in particolare per quanto riguarda servizi di consulenza
(52%), viaggi e trasferte (50%) e It (52%). Problemi si verificano,
tuttavia, anche con i materiali diretti, i beni primari e le
commodity. La realtà è rappresentata da un 52% che ammette di non
disporre di alcuna iniziativa in corso per padroneggiare meglio
queste aree, nonostante il 70% ammetta di averne bisogno.
Una fetta di responsabilità è attribuita alla crescita degli acquisti
di servizi “intangibili” e “non rintracciabili”, che determina un
alone di confusione. Per oltre il 50% del campione, la gestione dei
contratti di servizio risulta essere più complessa di quella di altre
tipologie, anche perché l’esborso, in questo campo, può solamente
essere stimato. Le sfide più impegnative, in particolare, sono
costituite dalla complessità e variabilità dei listini prezzi (36%) e
dalla valutazione delle performance dei fornitori (34%).
Anche l’outsourcing è visto come un’area che presenta inefficienze
(42%), pur essendo stato identificato come il settore nel quale i
professionisti del procurement potrebbero conseguire i maggiori
risparmi (24% dei casi). Il 38% degli intervistati ha, inoltre,
affermato di avere predisposto alcune iniziative finalizzate a
raggiungere livelli maggiori.
Interessante è, infine, il fatto che solo il 51% degli interlocutori
riporta al consiglio d’amministrazione, dato che indica l’importanza
ancora relativa ricoperta dagli acquisti agli occhi del top
management.

Le diversità locali
La survey ha dettagliato l’atteggiamento delle imprese del Bel Paese,
che dichiarano una visibilità superiore o, tuttalpiù, uguale alle
equivalenti europee in molte aree base, compresi i beni primari, cui,
tuttavia, si contrappone una carenza per quanto riguarda la cifra
destinata a It, consulting, trasferte e spese di capitale. Il
controllo sugli apparati tecnologici è piuttosto scarso (solo i
francesi hanno registrato un dato ancor più negativo), ma è proprio
in tale contesto che si intravedono delle prospettive (anche se si
tratta soltanto del 36%, il che significa che la maggior parte degli
intervistati è soddisfatta della situazione esistente). Per quanto
riguarda le restanti voci, il 36% è deciso a procedere in senso
migliorativo in campo viaggi, mentre un risicato 25% pensa a dare
impulso ai servizi. Quando si tocca il tasto dolente delle decisioni
concrete da prendere per conseguire i vantaggi desiderati, il 57%
risponde di non avere progetti in nessuna delle aree indicate.
Poco orientato ai contratti di servizio rispetto alle altre nazioni,
circa il 70% degli interlocutori locali ha dichiarato che le spese
dedicate ammontano a meno del 20% delle uscite totali, anche se i
dati elaborati dal Centre for Advanced Procurement Studies mostrano
che un 60% sarebbe più realistico. Tale numero testimonia
ulteriormente la scarsa visibilità su quest’area, rendendo
impossibile la massimizzazione dei risparmi. Rispetto a quanto
indicato dalle aziende italiane, i paesi coinvolti nell’indagine (a
esclusione di uno) hanno affermato che la gestione dei contratti di
servizio risulta essere un’operazione difficile. Tale discrepanza
potrebbe essere ulteriore testimonianza dalla scarsa considerazione,
espressa dai responsabili acquisti nello Stivale, per i problemi
connessi alla gestione della spesa per i servizi.
In termini di critica ai sistemi source-to-pay, in tutte la nazioni
coinvolte, a esclusione del Benelux, è stato “l’accesso e l’analisi
dei dati di procurement” l’elemento prescelto dai più. Gli
intervistati italiani hanno mostrato un’enfasi diversa, dal momento
che la maggioranza pensa che “il sourcing dei fornitori e il processo
di negoziazione” debbano essere resi più efficienti. Ed è proprio in
quest’area che, guardando ai progetti in corso, finalizzati
all’ottenimento di efficienza superiore, la maggior parte degli
intervistati locali ha dichiarato di essersi attivata. Da noi, poi,
ben il 70% degli interlocutori risponde direttamente al consiglio di
amministrazione, indicando che la funzione di procurement migliorerà
l’efficienza e i risparmi a un ritmo più veloce rispetto alla media
del resto d’Europa.
In linea con il quadro generale, infine, oltre il 40% delle società
nel nostro Paese ritiene che siano “l’assenza di un controllo
completo” o “gli acquisti irregolari” i fattori responsabili
dell’incapacità nel rispettare gli obiettivi di risparmio
prestabiliti. La grossa differenza con gli altri paesi coinvolti è
che le aziende italiane sostengono che il contenimento dei costi non
sia possibile in quanto le “necessità sono specializzate” e per tale
motivo i fornitori disponibili sono pochi. La conclusione potrebbe
essere che, nella realtà, tali imprese siano focalizzate sui beni
primari o sulle spese di capitale e non guardino all’insieme delle
categorie esistenti, specialmente nell’ambito dei servizi.

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