Aumenta la consapevolezza dei rischi di downtime dei sistemi, ma nonostante ciò una buona percentuale di aziende non si è ancora dotata di strumenti adatti a evitarli
Secondo due studi condotti in coppia da altrettante società di consulenza (Coughlin Assciates e Peripheral Concepts), le aziende hanno bisogno di più backup ma sono frenate nell’intento dai problemi derivanti dall’acquisto di nuovi dispositivi.
Le due ricerche hanno coinvolto più di mille dipartimenti It, con una rappresentanza di aziende appartenenti a una decina di industry e caratterizzate da un ampio range di fatturato.
Le indagini hanno messo in evidenza prima di tutto che, rispetto allo scorso anno, è aumento nel personale It il livello di attenzione sul backup, probabilmente perché è cambiata la percezione dei rischi connessi a un eventuale blackout dell’infrastruttura.
Per il 26% degli intervistati il costo di downtime dei sistemi è compreso tra 10mila e 100mila dollari all’ora. Ma per il 15% la perdita può essere compresa tra 100mila dollari e un milione di dollari, cifra che viene addirittura superata nel 9% dei casi.
Ciò che soprrende, soprattutto in relazione a questi numeri, è che il 17% del campione non dispone ancora di un sistema di disaster recovery.
L’indagine prevede nell’immediato futuro un aumento del 26% dell’utilizzo di drive Scsi (hanno risposto in questo senso 665 intervistati); l’impiego di drive Ata dovrebbe invece aumentare del 23%, mentre quello di soluzioni a nastro o simili crescerà del 18%.
Le soluzioni a disco sarebbero in generale preferite soprattutto per i minori tempi di restore e di backup, ma i dispositivi Ata sarebbero penalizzati dalle performance ritenute non idonee, in particolare per applicazioni critiche.
Gli analisti concludono commentando che c’è ancora
bisogno di soluzioni a basso costo. È necessario convincere le aziende che i
prodotti meno dispendiosi sono spesso sufficienti per proteggere i dati.
Soprattutto in mancanza di altro.