L’allarme dell’Aused “Il Sistema Paese continua a perdere competitività”

Il recente meeting dell’Associazione ha messo il dito nella piaga che da qualche anno affligge il settore: la riduzione dei budget, e in particolare degli investimenti It, spinge i Cio a consolidare le infrastrutture, mentre invece dovrebbero innovare, puntando sul change management.

Sul tema "L’Ict, propulsore dell’innovazione e della competitività del Sistema Paese", si è concentrata la sesta edizione del convegno organizzato da Aused (Associazione utilizzatori sistemi e tecnologie dell’informazione). L’argomento di per sé è molto dibattuto, per cui è difficile trarre nuovi spunti, se non la crescente consapevolezza che il Sistema Italia sta perdendo competitività e "si sta giocando il futuro" come ha affermato Elserino Piol, presidente di Pino Partecipazioni, presente alla manifestazione. Piol, inoltre, ha ribadito, come sta facendo da anni, che in Italia non si dà spazio al venture capital, una leva che negli Usa gioca un ruolo fondamentale per le imprese, in quanto le aiuta a fare ricerca e quindi consente al paese di essere tra i più competitivi a livello mondiale. Approccio, questo, che da noi è completamente sottostimato. L’allarme di Piol è condiviso anche dai partecipanti alla tavola rotonda del convegno (top manager di società che operano nell’Ict), che si sono trovati d’accordo nel ribadire che la realtà è molto preoccupante, in quanto le aziende continuano a pensare al presente, e quindi a tagliare i budget da destinare all’innovazione, ma non hanno la capacità di guardare oltre e di capire che, così facendo, si stanno giocando la possibilità di sopravvivere alla competizione sempre più accesa portata dalla globalizzazione dei mercati. Ma ci sono stati anche interventi che hanno presentato note di ottimismo, citando casi di attività molto innovative che sono in atto nel nostro Paese, come ha tenuto a sottolineare Nicola Aliperti, amministratore delegato di Hp Italiana o società che hanno testimoniato la capacità di andare controcorrente, come SoftPeople o Reply o Opera21, in quanto il loro fatturato cresce ben oltre i valori del mercato It.


Facendo un passo indietro sui temi del convegno, dopo il saluto di apertura del presidente Aused, Erminio Seveso, è seguito l’intervento di Giancarlo Capitani, amministratore delegato di NetConsulting, che tra l’altro ha osservato, dati alla mano, come la situazione generale del Sistema Paese non possa migliorare se le aziende continuano a preferire di investire in macchinari (+2,1% nella prima metà del 2004) piuttosto che in tecnologie (-0,5%), in quanto produttività e competitività dipendono dagli investimenti in Ict.


Capitani, inoltre, ha ricordato come i Cio siano oggi pressati da una parte dal management, che chiede di ridurre i costi dell’Ict, dall’altro dai responsabili finanziari, che chiedono un’ottimizzazione degli investimenti fatti. L’attuale basso profilo adottato dalle imprese non può proseguire, in quanto, secondo Capitani, le aziende vanno cambiate e non razionalizzate. Oggi i Cio preferiscono puntare sul rinnovamento dell’hardware, il rightsizing, il consolidamento, la standardizzazione, la semplificazione, l’aggiornamento, in definitiva sul change tecnologico, mentre invece dovrebbero puntare sul change management. Questo approccio, infatti, comporta la riorganizzazione dell’azienda, il che significa pensare in un’ottica di extended enterprise, di programmare progetti più ampi e di rivedere i processi. E il rinnovamento deve partire dai Cio, che ora devono diventare dei veri e propri Chief "innovation" officer, per cui devono saper trasformare i sistemi informativi in una infrastruttura applicativa e tecnologica.


"Le esigenze cambiano, c’è più concorrenza, il mercato cresce poco – ha sottolineato Capitani – per cui i sistemi informativi devono funzionare come una factory e come una utility". Inoltre, ci deve essere un allineamento tra Ict e strategie, per cui le esigenze di business del management devono convergere con i processi previsti dal Cio. Si deve, anche, cambiare la grave malattia del downpricing che avvelena il sistema di domanda e offerta e penalizza chi richiede il giusto prezzo per professionalità e competenze Ict.


"È brutto che vengano premiati i Cio che risparmiano e non quelli che innovano: così facendo non si riesce a creare un bene pubblico chiamato competitività – ha sottolineato Capitani -. Si deve, infatti, puntare sulla ricerca, sull’innovazione e pensare in termini di futuro e non di presente, perché altrimenti per l’Italia non ci sarà futuro".


L’intervento successivo di Bruno Pavesi, oggi amministratore delegato di BTicino, ma con una vasta esperienza in ambito It, acquisita alla giuda di Bull Italia, ha inquadrato, con tutta una serie di dati come l’Italia nel contesto mondiale, sia in una fase di declino evidente. A livello mondiale siamo al 28° posto per ambiente macroeconomico, al 46° per efficacia ed efficienza delle istituzioni pubbliche, al 44° a livello tecnologico, al 24° per efficienza delle aziende (leggi inadeguati investimenti in R&D). "Dal ’99 al 2003 – ha osservato Pavesi – il tasso di crescita dell’Italia in ricerca è stato di un risicato +0,5%, mentre perfino la Grecia e la Spagna hanno saputo fare di meglio, investendo rispettivamente un +15% e un +4%". Sposando in pieno il programma della Confindustria, Pavesi ha chiamato in causa il Governo, auspicando che intervenga al più presto con mosse adeguate, come per esempio detassare le spese in ricerca e stimolare gli investimenti in Ict, in quanto è l’unica leva che consente di innovare prodotti e processi, di migliorare le infrastrutture di comunicazione e i processi di internazionalizzazione. In definitiva, aiuta il recupero di produttività del Sistema Paese. "La differenza tra il dire e il fare è che bisogna fare" ha concluso Pavesi.

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