Computer Dealer&Var ha realizzato con il distributore Executive un incontro per trarre spunti operativi su Basilea2, che dal 2007 regolerà i crediti alle imprese
Novembre 2004, Se fino a ieri il problema per i rivenditori d’informatica
era (e, per molti versi, rimane) quello di vendere, oggi l’accento si sposta
a monte, verso l’organizzazione finanziaria dei singoli, che può precludere
o meno l’accesso al credito nei confronti delle banche. «Un aspetto,
quest’ultimo – ha affermato Manuel Spangaro, analista
di NetPartnering, che sul tema del working capital ha recentemente svolto una
ricerca sul campo (vedi pag. 22) -, che può essere percepito come
un’ulteriore difficoltà, vista la situazione di mercato non buona, ma
anche come un’occasione. Molti rivenditori di Ict stanno, infatti, analizzando
meglio non solo la propria struttura, ma anche il proprio ruolo nei confronti
dei clienti che, sempre di più, occorre conoscere in maniera approfondita
per approcciarli meglio, in un mix d’offerta fra tecnologia e servizi».
«Non dimenticate – ha, poi, continuato Spangaro -, che i
vendor sono sulla vostra stessa barca e che molti stanno cominciando a farsi
carico di quello sviluppo di cui si parlava nel caso del cluster B, e senza
il quale non c’è sopravvivenza».
A "tirare giù il lenzuolo" sulla nuova normativa non poteva,
però, che essere un consulente di PricewaterhouseCoopers, società
che ha assistito la Commissione europea realizzando uno studio sugli impatti
di Basilea2 che, discusso, condiviso e approvato, è stato utilizzato
nella preparazione della bozza di Direttiva europea. Invitato a far chiarezza
sul tema del trattamento regolamentare dei crediti verso le imprese, Pietro
Penza, direttore della divisione Advisory ha, fin dalle prime battute,
chiarito come «il nuovo accordo sul capitale, più noto con
il nome di Basilea2, è una raccomandazione che si applica solo e soltanto
alle banche attive internazionalmente». Con buona pace, viene da
pensare, degli altri attori del mercato…
«Similmente a quanto già accadeva per Basilea1 – ha continuato
il consulente -, alle banche l’autorità di Vigilanza richiede un’adeguatezza
patrimoniale minima (o capital adequacy) misurabile in un coefficiente di solvibilità,
il cui risultato deriva dal rapporto fra patrimonio e attivo ponderato per il
rischio (sostanzialmente modificato nel nuovo accordo) e il cui risultato dovrà
essere uguale o maggiore all’8 per cento».
Di diverso, semmai, rispetto alla normativa precedente, c’è il "come"
vengono modificate le esposizioni che fanno parte del bilancio bancario. Già,
perché, a quanto è stato detto, se Basilea1 ha contribuito ad
aumentare la dotazione media di capitale delle banche a livello internazionale,
ha apportato linee guida chiare e applicabili internazionalmente e ridotto distorsioni
competitive creando efficienza e stabilità nel sistema internazionale,
dall’altra ha prodotto un’inadeguata differenziazione del rischio di credito,
un limitato riconoscimento delle garanzie e nessuna flessibilità nel
trattamento dei nuovi prodotti. «Il risultato – è il pensiero
di Penza – è che oggi, per quanto riguarda il rischio di credito,
si è creata una distorsione competitiva perché il peso del capitale
è lo stesso, indipendentemente dalla rischiosità della controparte».
In compenso, il nuovo accordo offre alle banche maggiore flessibilità
nella scelta dell’approccio per il rischio di credito, che può essere
di tipo "base" (quando si utilizzano rating di valutazione esterni),
o "avanzato" (quando si opta per rating interni formulati dalle singole
banche). Sta al rivenditore, ma similmente all’imprenditore, capire a quale
banca sarà meglio bussare: se è convinto della "bontà"
della propria azienda conviene andare da una banca grande, che non utilizza
i rating ufficiali, ma se li calcola in casa. Altrimenti conviene il rating
standard.
Cosa serve all’impresa per ottenere un credito
Come ha spiegato l’analista di PricewaterhouseCoopers: «I concetti
che presiedono al rischio di credito sono tre e vanno dalla probabilità
di default all’esposizione attesa al momento del default, fino al cosiddetto
recovery rate. Mentre il primo misura la probabilità che la controparte
si trovi in stato d’insolvenza entro un orizzonte temporale stabilito (solitamente
90 giorni, ma in particolare, su richiesta italiana, l’accordo concede ai regolatori
nazionali di autorizzare un regime transitorio di 180 giorni per cinque anni
– ndr), il secondo tiene conto dell’esposizione al momento del default,
e il terzo calcola quanto la banca pensa di recuperare in termini percentuali
in caso di mancato pagamento».
Com’è logico supporre, la probabilità di default dipende, tra
le altre cose, dalla situazione economico-finanziaria dell’azienda, dallo stato
dell’economia e dal settore industriale d’appartenenza. L’esposizione dipende,
invece, dal valore iniziale del finanziamento, dall’anzianità della posizione
al momento del default e dalla forma tecnica, la stessa che si ritrova nella
misurazione del recovery rate che, tra le altre cose, dipende anche dalle garanzie
fornite e da aspetti di sistema.
Il che non è una grossa novità. «Da sempre – ha
sottolineato Penza – le banche applicano rating di questo tipo per valutare
l’accesso al credito delle aziende. Inoltre, non esistono criteri di giudizio
assoluti. Ogni banca applica i propri, e anche se gli indici patrimoniali e
quelli economici restano indicatori importanti, esiste poi una componente di
apprezzamento soggettivo del bancario».
Insomma, più i rivenditori (non solo dell’It) sapranno essere chiari,
trasparenti e tempestivi nel presentare le componenti di bilancio della propria
azienda, meglio sarà per loro. Già, perché, come ha fatto
notare il consulente di PricewaterhouseCoopers: «Basilea2 non penalizzerà
le imprese, anzi dovrebbe favorire quelle sane, ma in mancanza o carenza di
informazioni sulle singole realtà l’accordo chiede alle banche di utilizzare
un approccio prudenziale».
Piccole e medie imprese in difficoltà?
Così com’era stata concepita all’inizio, però, Basilea2 poteva
risultare penalizzante per le Pmi, in quanto non differenziava adeguatamente
le diverse tipologie di controparti "corporate". «Nella
versione finale dell’accordo – ha spiegato ancora Penza – le imprese
vengono, infatti, "pesate" secondo curve di calibrazione espresse
matematicamente, che misurano il rischio calcolato in termini di attivo ponderato
per il rischio e, quindi, di capitale assorbito. In questo modo, a seconda del
fatturato di un’azienda, si è lavorato per riconoscere un minore assorbimento
alle imprese di dimensioni piccole e medie (a parità delle altre condizioni
– ndr), in modo da migliorarne il trattamento».
Esiste, poi, un altro aspetto nel rapporto fra banca e impresa da tenere in
considerazione. Come ha sottolineato Umberto Colli, responsabile
della direzione Risk management di Credito Valtellinese: «Quello che
si sta avvicendando con l’avvento di Basilea2 è un graduale, ma progressivo
superamento della logica del pluriaffidamento verso il cosiddetto hausbank,
ossia la scelta di un unico istituto di credito al quale l’impresa decide di
rivolgersi in un’ottica di trasparenza e affidabilità». Non
a caso, secondo Colli: «Per le banche, Basilea2 rappresenta una razionalizzazione
di cose che si fanno già. È logico che in questa prima fase di
sviluppo la metodologia dei rating è senz’altro di aiuto, ma poi il modello
dovrà essere adottato a livello decisionale, perché tanto più
capitale assorbo, tanto più dovrò andare a recuperare i miei costi».
Per questo, sempre di più, le imprese in cerca di credito dovranno tentare
di migliorare i propri indici di default, riequilibrando le variabili che incidono
sui casi di perdita, o lavorando per offrire garanzie diverse all’istituto di
credito al quale si rivolgono. «Non per niente – ha concluso
Colli – le banche stanno ragionando sempre di più in termini di costi
impliciti del capitale, che si fanno pagare di più o di meno ai clienti
in base al grado di solvibilità che quest’ultimi sono in grado di garantire».
E se a chiedere credito sono le imprese del reparto Ict? Niente paura, assicurano
gli esperti al tavolo, «nella valutazione qualitativa il settore di
appartenenza può migliorare o peggiorare la valutazione di una, o poco
più, classi di merito. Ad avere maggior peso sono l’ottica di evoluzione
e le dinamiche che l’azienda può dimostrare di essere in grado di generare
per aumentare la propria liquidità patrimoniale ed economica».
A buoni intenditori di business, poche parole.