L’industria della trasformazione alimentare si compone di 7mila aziende e di una costellazione di 30mila piccole realtà che vendono i loro prodotti in Italia e all’estero
Gennaio 2005, Anche in Italia, il Paese della buona cucina, abbiamo
da tempo imparato a sfruttare i vantaggi dei piatti pronti, o almeno degli ingredienti
prelavorati che tanto sveltiscono il lavoro tra i fornelli. Un vantaggio non
solo per l’utenza, ovviamente, ma anche per il gran numero di aziende che operano
nell’area della trasformazione alimentare, il terzo settore per fatturato nell’ambito
manifatturiero (dopo il metalmeccanico e il tessile/abbigliamento). Secondo
dati Istat raccolti nell’ultimo censimento (risalente ormai al 2001) e attraverso
le elaborazioni di associazioni di categoria aderenti a Federalimentare, possiamo sostenere che questo comparto genera complessivamente 90 miliardi di euro, dando lavoro
a 400mila addetti, impiegati in 7mila aziende e in un arcipelago di oltre 30mila
tra piccole aziende e imprese artigianali. Un settore dinamico e pieno di inventiva
che punta a stuzzicare le golosità degli italiani, i quali sembrano gradire:
sempre in riferimento al 2001, i consumi alimentari delle famiglie italiane
sono stati pari a 108 miliardi di euro, e 57 miliardi sono invece da ascrivere
ai consumi extra domestici. In totale, la spesa per l’alimentazione nel
2001 è stata di 165 miliardi di euro. La produzione continua nella sua
crescita, con percentuali che, pur limitate rispetto al passato, rimangono comunque
superiori a quelle degli altri comparti industriali e, nel periodo tra il 1995
e il 2001, l’incremento medio di produzione è stato dell’11,6%, contro il +7% realizzato dall’industria
italiana nel suo complesso. Si tratta, quindi, di un settore di mercato che
solo in parte ha a che vedere con la fattoria a gestione familiare o con il
laboratorio artigianale, ma che presenta, invece, esigenze e problematiche di
gestione tipiche delle industrie, e dove i rivenditori di informatica possono
trovare ampi spazi di intervento, vista soprattutto la crescente presa di coscienza
di tali aziende, orientate a una forte competitività, sia sul piano nazionale
che su quello estero, delle opportunità di crescita offerte dalle nuove
tecnologie applicabili alla produzione.
Ma i prodotti italiani non vengono apprezzati solo in Patria. Anche all’estero
la cucina tricolore ha i suoi estimatori, e l’esportazione dell’industria
agroalimentare ha raggiunto nel 2001 i 13mila milioni di euro, rendendo però
il favore ai produttori di cibi stranieri, con 11.500 milioni di euro di import.
Pasta e pummarola i prodotti più richiesti fuori confine: l’export
delle conserve di pomodoro e degli ortaggi trasformati è cresciuto dell’11%
(1.100 milioni di euro), mentre quello della pasta è aumentato del 9,1%
(1.131 milioni di euro). Bene anche l’esportazione dei prodotti dolciari
(+11,8%, pari a 1.450 milioni di euro), dei prodotti trasformati della carne
(+15,4%, corrispondenti a 593 milioni di euro), gli alimenti del settore lattiero/caseario
(1.067 milioni di euro e una crescita del 10%). Interessante anche la vendita
all’estero di caffè (312 milioni di euro e un incremento del 9,3
per cento).
Oltre ai prodotti trasformati, particolare rilievo mantengono le esportazioni
di prodotti primari, quali l’agro/zootecnico/ittico, il cui settore ha
raggiunto un export per 4.700 milioni di euro, crescendo dell’8% rispetto
all’anno precedente. Ma quest’ultimo è stato largamente surclassato
dalle importazioni, che sono arrivate a 13.800 milioni di euro.