ll controllo dei consumi energetici dei data center è ormai diventato uno dei maggiori grattacapi dei Cio aziendali, impegnati a contenere una voce di spesa in pericolosa ascesa. Secondo un recente studio pubblicato da Jonathan G. Koomey, consulting pr …
ll controllo dei consumi energetici dei data center è ormai diventato uno dei maggiori grattacapi dei Cio aziendali, impegnati a contenere una voce di spesa in pericolosa ascesa. Secondo un recente studio pubblicato da Jonathan G. Koomey, consulting professor della Stanford University, l’uso di energia elettrica da parte di server e dispositivi infrastrutturali collegati, come gli strumenti di raffreddamento, le ventole o gli Ups, (escludendo, quindi, storage e device di rete) è addirittura raddoppiato dal 2000 al 2005 su scala mondiale.
Causa indiretta di questa impennata nei consumi sembra essere stata soprattutto la richiesta crescente di servizi Internet (video-on-demand, Internet telephony e altro), sempre più famelici in termini di piccoli server dedicati, ritenuti, quindi, i responsabili principali. Più defilata risulta, invece, la responsabilità diretta dei consumi per unità, il cui incremento è stato, tutto sommato, contenuto.
«In questo caso – ha spiegato a Linea Edp il professore -, il balzo si è limitato dal 5 all’8%, mentre la crescente diffusione dei server sotto i 25.000 dollari ha gravato per il 90% sulla crescita dell’assorbimento energetico». A conferma Koomey snocciola numeri. A livello worldwide, nel 2000, i data center erano composti da 14,1 milioni di server, 12,2 milioni dei quali appartenenti alla fascia low-end, 1,8 a quella midrange e 66.000 a quella high end. Nel 2005 il totale dei server ha raggiunto i 27,3 milioni, di cui 26 milioni low-end, 1,2 midrange e 59.000 high end. Nello stesso anno, a livello mondiale, la richiesta energetica dei server e delle infrastrutture associate (che, complessivamente, rappresentano il 60-80% dei consumi all’interno dei data center) è stata equivalente, in capacità, a 14 impianti di generazione da 1.000 Mw, mentre la spesa è stata di 7,2 miliardi di dollari.
Difficile fare stime per il futuro, ma se i dati preconizzati da Idc si confermeranno, nel 2010, ha sottolineato Koomey, la base installata dei server di fascia bassa incrementerà del 50% sui dati del 2005, mentre le macchine di fascia medio-alta scenderanno del 20-30%. Questo significa che se la potenza per server si conferma la stessa del 2005, i consumi energetici incrementeranno del 40% entro il 2010. Se,invece, il consumo medio per unità crescerà allo stesso ritmo registrato dal 2000 al 2005, il totale dell’energia assorbita dai server aumenterà del 76%.
A fronte di questo scenario, il professore di Stanford non ha potuto sottrarsi dal suggerire alcuni rimedi in grado di contenere, o almeno tentare di limitare, i consumi all’interno dei data center.
Per esempio, usare software di virtualizzazione e migliorare le tecniche di raffreddamento. Si è calcolato, infatti, che nel 2005 negli Stati Uniti i consumi dei soli server hanno rappresentato lo 0,6% dell’utilizzo energetico dell’intero paese: una percentuale che arriva all’1,2% se si aggiungono anche quelli dei dispositivi ausiliari come gli impianti di raffreddamento. Terzo punto, conoscere in modo approfondito il Total cost of ownership dei sistemi che si acquistano. Inoltre, cambiare gli Ups.
«Fondamentale, poi, – ha concluso Koomey – è l’uso di metriche standard per misurare i consumi energetici dei server come indice prestazionale, per esempio utlizzando gli strumenti disponibili al sito http://www.energystar.gov/index.cfm?c=products.pr_servers_benchmark o quelli che la Spec rilascerà alla metà di quest’anno. Infine, sarebbe utile far rientrare il controllo della spesa energetica dei data center sotto la responsabilità dello stesso gruppo che li gestisce operativamente. In questo modo si incentiverebbe maggiormente il risparmio sui consumi».