Scambiamoci le Soa

Opportunità e rischi per il Cio, in uno scenario in cui le Service oriented architecture da argomento di discussione stanno diventando motore del business

Ammonimenti, provocazioni, consigli ed esperienze dirette in ambito Soa, tecnologia
o servizio, che dir si voglia, ancora in divenire ma già ben presente
nella testa dei Cio. Almeno così pare dai risultati di due appuntamenti,
rivolti alla testa pensante dei sistemi informativi, organizzati rispettivamente
da Reply e Oracle sul tema della Business integration e da TechEdge (in compagnia
di Sap) come roadmap sulle Service oriented architecture. Due occasioni diverse,
che hanno portato a conclusioni simili, con testimonianze sul campo, che fanno
ben percepire la necessità di osservare da un unico punto di vista le
necessità di business e le risposte applicative, pur avendo ben presente
che il cammino, già intrapreso da tempo, è ancora lungi dall’essere
compiuto. «In realtà, negli ultimi cinque anni – ha spiegato
Salvatore Pulvirenti, Cio di Tiscali – nulla è cambiato, si cerca
sempre di essere flessibili e di rispondere in modo soddisfacente alle esigenze
di business. La nostra volontà è di creare trasparenza sull’operato
dell’It, senza spiegazioni teoriche, ma facendo fatti
».

Ed è proprio un dato di fatto che nei progetti It c’è tumulto
ma, come detto da Enzo Bertolini, Cio di Ferrero, «il business continua
a rappresentare una normale interferenza, non deve essere disturbato e non deve
perdere efficienza
». Contaminarlo con le tecnologie e viceversa è
interfunzionale e non ha senso entrare nel merito specifico di cosa sia la Soa
alle spalle dei processi, ciò che conta è migliorare il servizio,
riducendo i costi. «Sicuramente, però, per far ciò,
le aziende devono omogeneizzare i processi e ottimizzare le architetture di
sistema
», ha precisato Bernardo Lo Monaco, Cio di Siram. Perché,
come ha indicato Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore ordinario
di Strategia aziendale alla Bocconi e alla Scuola di direzione aziendale (Sda)
del medesimo ateneo, chiamato a moderare entrambi gli incontri, il disaccoppiamento
dei processi (magari, inizialmente, quelli non core) e la loro rappresentazione
software crea lo spazio per una reinterpretazione dei processi ma anche per
il riutilizzo dei servizi, con i conseguenti benefici economici.

Ma i vantaggi che le Soa dovrebbero comportare vanno oltre e toccano la semplificazione
dell’ambiente It, più facilmente evolvibile, una maggiore spinta
all’integrazione e una tempistica e frequenza di progetto più ridotte.
«Con le Soa, anche se non tutto quello che si utilizza è collocabile
in questo senso
– ha indicato Erminio Seveso, Cio di BTicino -, il
tempo di rilascio medio dei progetti si è ridotto, e gli utenti se ne
accorgono
». Utenti che sono chiamati in prima persona a diventare
testimoni dell’andamento dei processi, visto il decentramento nella loro
direzione e la costante richiesta di semplificazione. «Sono sempre
più esigenti e competenti
– ha ripreso Seveso -. Ci rendono
il lavoro più complesso e, allo stesso tempo, più stimolante
»,
anche se Alberto Magni, responsabile dei sistemi trasversali di Mediaset, nel
presentare il passaggio di release di Sap in ottica Soa ha lanciato il monito
di non coinvolgere più utenti del dovuto nei processi decisionali sui
progetti.

Il lungo viaggio delle Soa
Le Soa, comunque, che per essere efficaci richiedono di continuare a investire
in tecnologie affermate come la connettività e la sicurezza, dovrebbero
portare anche a una diffusa rete di relazioni, che permetterà di collaborare
maggiormente con utenti e fornitori. Una sorta di tutti con tutti o contro tutti,
collaborazione e competizione diffuse in quella che Carnevale Maffè ha
esplicitato, con un approccio tipicamente di stampo economico, come la logica
degli stakeholder, vale a dire l’insieme degli attori interessati a un’iniziativa
economica. Il professore augura, se non addirittura preconizza, un ampio ecosistema
fatto di aziende, fornitori, utenti e, perché no, sviluppatori, che possono
contribuire ad arricchire l’architettura, superando il concetto di extended
enterprise, che prevede processi interni rigidi e una filiera lineare. Prendendo
sempre spunto dal linguaggio economico, Carnevale Maffé specifica che
i rapporti esterni tendono a non essere più lineari, bensì reticolari
e come tali richiedono una nuova definizione anche delle tecnologie. Da qui
la necessità di abbattere i processi monolitici e di scomporre quelli
di business, rendendoli riutilizzabili in diversi contesti, in uno scenario
fatto di alleanze e partnership, che fa leva sulla complementarietà del
sistema d’offerta.

Ritornando con i piedi per terra, però, si deve ragionare ancora a livello
di road map e non di effettive e riprovate esperienze sul campo, almeno, finché
non cambieranno le politiche di licencing e l’approccio dei system integrator,
come si è rammaricato Giorgio Colonna, Cio di Zoppas: «I vendor
continuano a voler vendere licenze ma, in tal modo, la variabilizzazione dei
costi è di là da venire
», soprattutto se si pensa che
solo una minima percentuale di software house e integratori di sistemi hanno
abbandonato l’approccio tradizionale, che continua ad apparire più
redditizio e per il quale è più semplice reperire i giusti skill.
«I fornitori hanno un ruolo importante e devono presentare competenze
mirate
– ha richiesto Maurizio Galli, Cio di Mediaset -. È importante
che ci diano prodotti e servizi integrabili ai nostri ambienti. La speranza
è sempre quella di non essere costretti a cambiare anche quello che non
vorremmo nel momento in cui modifichiamo qualcosa nell’architettura
».

Un cambiamento che non dovrebbe verificarsi in tempi rapidi, al pari della
mentalità Soa oriented dei manager, che devono sposare un diverso modo
di approcciare i problemi, una nuova semantica, così come i dei Cio.
Un giusto equilibrio nella definizione dei processi anche se, Seveso, dall’alto
dell’esperienza espressa dai suoi capelli bianchi, ha ricordato che proprio
questo, da sempre, è il ruolo del Cio: fungere da ponte, da mediatore,
anche quando l’imprenditorialità non ha gli stessi tempi di reazione
dell’It, tra tecnologie e Business e occuparsi di garantire, non importa
come, il time to deployment. «Compito nostro – ha rimarcato Alessandro
Santucci, Cio di Sieco – è di andare a cercare il business e risolvere
i suoi problemi
». La definizione tecnologica poco conta, è
qui che entrano in gioco i Reply o i TechEdge del caso.
E il cerchio si chiude: per capire i vantaggi delle Soa, l’imprenditore,
tipicamente poco sensibile all’It, deve poter toccare con mano casi concreti
e non fidarsi di dichiarazioni sbandierate ai più.

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