Cinquant’anni fa, nella giornata di ieri, sulla rivista americana Electronics Magazine, usciva un articolo a firma di Gordon Moore, allora a capo della ricerca e sviluppo di Fairchild Semiconductor, destinato a diventare un caposaldo della nascente industria informatica.
Nel suo articolo, Moore enunciava quella sarebbe stata riconosciuta come la “prima” delle sue leggi, riveduta e corretta pochi anni dopo: Moore sosteneva infatti che il numero dei transistor presenti su un circuito integrato sarebbe raddoppiato ogni anno (ogni due anni nella versione successiva, del 1975).
E in questi cinquant’anni la Legge di Moore non solo si è rivelata corretta, ma è stata presa di fatto come base di riferimento e come benchmark sia dai produttori di chip, sia dai produttori di computer e dispositivi elettronici.
Appare chiaro, tuttavia, che le cose, soprattutto in questi ultimi anni, siano cambiate al punto tale da far sorgere interrogativi in merito all’effettiva veridicità dell’enunciato e all’opportunità di una sua riformulazione.
Lo stesso Moore, riportano i media statunitensi che in queste ore mettono in evidenza la ricorrenza, è aperto a un’ulteriore rilettura e parla di una cessazione di validità della sua legge nel giro di qualche anno.
In questi cinquant’anni, la legge di Moore è stata alla base dei processi che hanno portato alla crescente miniaturizzazione dei dispositivi, all’aumento della loro capacità computazionale, al miglioramento della loro efficienza.
Ora, tuttavia, i segnali ci sono tutti perché la legge segni il passo: non si può procedere all’infinito nella miniaturizzazione dei transistor senza che entrino in gioco altre leggi, quelle della fisica, che ne decreterebbero la perdita di efficienza.
Appare dunque chiaro che le innovazioni andranno cercate in altri ambiti, a partire dal software. Senza nulla togliere a quanto si deve al signor Gordon E. Moore.