Infocamere ha rilasciato la nuova edizione del Cruscotto di indicatori statistici sulle startup innovative inserite nell’apposito registro governativo.
L’attività complessiva, va detto subito, è ancora ridotta. Inoltre i tanti dati vanno soppesati con attenzione. L’elemento forse più rilevante è che tra luglio e settembre 2015 il capitale sociale totale dichiarato e il numero delle startup sono cresciuti della stessa percentuale, ovvero circa l’11%. Le società di ogni genere sono aumentate dell’1%, mantenendo fermo il capitale sociale complessivo.
A fine settembre 2015 le startup italiane (in questa accezione) erano 4.704, il 3 per mille delle aziende. Il capitale sociale era di 235 milioni di euro, ergo circa 50 mila euro per ciascuna iniziativa.
Il capitale è un dato iniziale, quindi sempre disponibile. Per parlare di soldi freschi, invece, si deve andare indietro di un anno, parlando di bilanci 2014. Questi documenti sono stati presentati da 2.663 startup, per una produzione media di 131 mila euro ma una mediana di 25 mila euro annui. Per saperne di più servirebbe vedere la curva di distribuzione, che non è disponibile nel report.
Intorno alla definizione di startup
Si tratta di numeri non certo straordinari, che in Rete suscitano commenti sempre più forti. Prima di commentare vogliamo ribadire alcune cose. Primo, che non esiste un’unica definizione di startup, quindi anche le classificazioni e i macrodati possono essere significativamente diversi: questo report riguarda le startup relative al decreto legge 179/2012.
Secondo, che la startup non è una cosa moderna nella quale chiunque può mettere quel che vuole, bensì la fase di avviamento d’una attività rivolta al guadagno, in modo da ripagare gli investimenti iniziali, pagare forniture, spese e dipendenti e remunerare gli investitori.
L’avviamento dovrebbe avere una certa durata, ovvero fino alla presentazione del primo bilancio, dopodiché l’attività non dovrebbe più essere considerata startup e dovrebbe uscire dal registro. Ma apparentemente in Italia si resta startup a vita.
Report da Italia dei Comuni
Passiamo ai commenti. Il modo nel quale si presentano i dati relativi alle startup ci sembrano inaccettabili. Innanzitutto, come scrivevamo sopra, nessuna di loro sembra mai uscire dal registro. In secondo luogo, nel report rientrano dati statistici forse rilevanti per l’amministratore locale che deve rendere conto ai gruppi che lo sostengono, ma che dal punto di vista del business non sembrano aver senso. Che importa quante aziende hanno almeno uno straniero tra i soci o tra i dipendenti? E di informazioni come queste ce ne sono davvero troppe, nel report.
Alzando lo sguardo, l’intero formato di comunicazione statistica è a informazione quasi zero, in quanto ripete sempre le stesse cose, per qualsiasi rilevazione: le regioni in vista sono Lombardia ed Emilia Romagna, le province virtuose Trento e un’emiliana a rotazione, in Italia la maggioranza assoluta delle aziende fa servizi. Niente di nuovo sotto il sole.
Anche pagine e pagine di classifiche regionali, provinciali e comunali sono non solo inutili, ma anche dannose. Sono certo un evidente retaggio dell’Italia dei Comuni, e non certo della necessità di aggregazione che superi i confini della comunità montana e della stessa area metropolitana dal punto di vista di vincoli normativi mostratisi anacronistici già nell’Italia delle cambiali, a cavallo degli anni ’60.
Il rischio delle startup
Qualche interesse lo registrano le tavole 10 e 11. Nel 2014 le startup in attivo sono state il 43% (società: 62%). Roi e Roe sono negativi (-0,12 e -0,27) con buona pace di chi sostiene una forza strutturale. Ma attenzione: se sono in attivo, le startup hanno risultati molto forti, con un Roi dello 0,10 (società: 0,03) e un eccellente Roe dello 0,19 (Società, sempre 0,03). Per ogni euro di produzione le startup innovative generano in media 16 centesimi di valore aggiunto, un dato più basso di quello delle società di capitali (21 centesimi). Limitatamente alle imprese in utile, le startup generano, invece, più valore aggiunto rispetto alle società di capitali (33 centesimi contro 21).
Questi dati sono nuovi? No. Le imprese a maggior rischio in genere perdono, ma quando guadagnano vanno meglio della media. Non resta che attendere i rapporti dei prossimi anni, che si spera riportino fin dalle sintesi dei dati più salienti per l’attività.
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