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Horus: computer vision indossabile a un passo dalla realtà

Horus_Technology_Fondatori
Da destra: Saverio Murgia, CEO di Horus Technology e Luca Nardelli, CTO di Horus Technology

Scegliere di spostare l’attenzione da robot inanimati a esseri umani con problemi alla vista.
La genesi del progetto Horus, dispositivo indossabile sviluppato per assistere persone cieche e ipovedenti, è datato inizio 2014, quando una mattina, presso la Stazione Ferroviaria di Genova Brignole, gli amici Saverio Murgia e Luca Nardelli incontrano una persona non vedente intenta a identificare l’attraversamento pedonale per raggiungere il più vicino capolinea degli autobus.
Il racconto di una mappa mentale dell’intero quartiere, costruita per rendersi il più possibile indipendente dal resto di un mondo non avvezzo a muoversi al buio, colpisce i due giovani studenti della facoltà di ingegneria (robotica avanzata per l’uno, biomedica per l’altro – ndr) impegnati, in quel mentre, in progetti di computer vision applicata alla robotica.

Da hobby a progetto finanziato dall’UE

Da qui un primo abbozzo di Horus, che da hobby, conquista lo status di progetto con fondi grazie ai 15mila euro portati a casa qualificandosi al terzo posto nel contest dell’Unione Europea EIT Digital Idea Challenge per poi trasformarsi, tre mesi più tardi, in Società a responsabilità limitata semplificata con l’estensione “Technology” dietro al nome del progetto.
«Di lì a oggi – ci spiega al telefono Saverio Murgia, che di Horus Technology è anche CEO -, abbiamo vinto una serie di premi, tra cui l’IBM Smartcamp, e concluso una campagna di crowfunding sulla piattaforma di TIM WCAP, per un totale di 150mila euro raccolti».
Con questi Horus Technology ha potuto finanziarsi e spostare a Milano la sede operativa, lasciando a Genova la sede legale di una società che, a oggi, attorno al progetto di Horus, impiega sette dipendenti, tra product developer, product design, brand manager, marketing strategist e sviluppatori software.

La stampa 3D a supporto della sperimentazione

Nell’officina ora situata in una parte dell’openspace della sede milanese, una stampante 3D CraftBot e l’apposita strumentazione per prototiHorus_Stampa_3Dpare consentono al team di stampare tridimensionalmente e assemblare manualmente le componenti del dispositivo indossabile progettato per osservare, comprendere e descrivere attraversamenti pedonali, lettura di testi, riconoscimento di volti e oggetti.
«Acquistata tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 e identificata all’interno della social community di Indiegogo – dettaglia Murgia -, la stampante 3D non-professionale dell’ungherese Craft Unique ci consente di stampare in casa sia in ABS sia in PLA e con piatto riscaldato, anche con filamento flessibile, le plastiche che compongono Horus, i cui costi di sperimentazione, in termini di forma e dimensione dell’oggetto fisico, sarebbero troppo alti da sostenere se demandati all’esterno».

Tecnologia wearable in grado di tradurre i suoni

Dato vita a una primissima versione con telecamere montate su occhiali, la forma attualmente assunta da Horus, «che resta compatibile con qualsiasi montatura per occhiali», è quella di un paio di cuffie sportive che passano dietro la testa e sul cui lato destro sonohorus_headset_completo posizionati con design simmetrico due sensori visivi e di orientamento che registrano l’immagine dall’esterno e la inviano via cavo a un dispositivo tascabile in cui sono ospitate batteria e unità di elaborazione.
Grazie alla tecnologia della visione stereoscopica, l’oggetto così composto osserva la realtà, la comprende e la descrive alla persona, fornendo informazioni utili e sfruttando la conduzione ossea per non penalizzare l’udito della persona, senza bisogno di connessione a Internet e indipendentemente da altri dispositivi.
A sua volta, tramite pressione sugli appositi pulsanti, interazione vocale o semplici azioni, l’utente è in grado di interagire con il dispositivo che, anche grazie ai suoi sensori, comprende quel che accade attorno alla persona, e si comporta di conseguenza.

Le difficoltà ancora in agguato

Tra le sfide tuttora da affrontare, non manca la realizzazione di un’interfaccia utente «davvero semplice da utilizzare ma che non ha alcun punto di riferimento, essendo la prima nel suo genere».
Anche la commercializzazione di Horus entro fine 2016, «una volta conclusa la fase di test pilota per correggere eventuali problematiche non riscontrate in fase di testing» richiederà, fin da subito, un’ottica internazionale, mentre per passare da prototipo realizzato a mano a oggetto miniaturizzato e riproducibile in serie, un aiuto è giunto da Oltreoceano.
È, infatti, della scorsa settimana la notizia di un finanziamento pari a 900mila dollari messo sul piatto dalla statunitense 5Lion Holdings per brevettare Horus e portarlo sul mercato entro la fine di quest’anno.
Perché sia «realmente alla portata di tutte le tasche», i suoi ideatori stanno ipotizzando la vendita diretta, senza intermediari, mentre fondamentale è, e si conferma, la collaborazione con onlus e associazioni di ipovedenti e di volontariato che si occupano di gravi malattie della retina.

 

 

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