Da un’indagine internazionale firmata dall’ente di certificazione DNV GL – Business Assurance e dall’istituto di ricerca GFK Eurisko si evince che le aziende puntano sui Big data, ma poche sono in grado di sfruttarne davvero il potenziale.
Oltre la metà dei circa 1200 professionisti intervistati ne riconosce, infatti, l’importanza (52 per cento) ma solo uno su quattro saprebbe sfruttarli per incrementare la produttività della propria impresa.
Condotta su un campione di clienti DNV GL non statisticamente rappresentativo delle aziende del mondo che operano in settori diversi in Europa, nelle Americhe e in Asia, l’indagine ha, così, rilevato che è solo il 23 per cento del campione a disporre di una strategia chiara in tema di Big data, anche se un nutrito 65 per cento degli indagati afferma di posizionare nella parte in alto dell’agenda il tema, con punte di ben il 70 per cento nelle imprese con oltre 1000 addetti (che rappresenta il 17 per cento dell’intero campione indagato), mentre il 45 per cento riconosce l’impatto diretto dei Big data per il proprio modello economico.
A conti fatti, la metà delle aziende del campione ha implementato almeno un’iniziativa in materia di Big data, mentre la maggioranza ha intrapreso il percorso per trarne benefici reali implementando, per prima cosa, le tecnologie e la capacità analitica che consentono di interpretare le proprie raccolte di dati.
Ma gli ostacoli non mancano
Tanto che i principali fattori che impediscono alle aziende di progredire ulteriormente hanno a che vedere con la mancanza di una strategia d’insieme e di competenze tecniche, entrambe richiamate dal 24 per cento del campione.
Tuttavia, tutte le aziende che sfruttano i Big data hanno ottenuto benefici concreti: il 23 per cento ha accresciuto l’efficienza, un altro 16 per cento ha migliorato i processi decisionali e un ulteriore 11 per cento ne ha beneficiato in termini di risparmi mentre, rispettivamente nel 16 e nel 9 per cento dei casi, grazie ai Big data, sono migliorati la customer experience dei clienti e le relazioni con gli altri stakeholder.
Dove si muovono gli investimenti
Nella consapevolezza che i vantaggi arrivano quando si è in grado di capire meglio il settore, la clientela e il mercato di riferimento e di prendere decisioni sulla base di informazioni aggiornate per massimizzare la produttività o i risultati, la maggior parte degli sforzi si è concentrata sulla creazione di risorse e competenze necessarie a sfruttare i Big data al massimo del potenziale.
Il 28 per cento del campione interpellato ha, infatti, migliorato la gestione delle informazioni e il 25 per cento ha implementato nuove tecnologie e metodiche.
Meno numerose, invece, le aziende che hanno intrapreso azioni che hanno influito sulla loro routine quotidiana. Solo il 16 per cento ha lavorato per cambiare la cultura o la struttura organizzativa, mentre appena il 15 per cento ha mutato il proprio modello imprenditoriale.
Eppure, a guardare le risposte sulle prospettive future, il gioco parrebbe valere la candela, se è vero che il 57 per cento ritiene che i Big data svolgeranno un ruolo importante nel medio termine e che il 47 per cento del campione si prepara a favorire lo sviluppo di competenze interne specifiche prospettando, nel 20 per cento dei casi, anche la nascita di partnership ad hoc per apportare cambiamenti significativi per il proprio personale.
E in Italia?
Che utilizzare i dati per orientare l’azione sia un fatto imprescindibile per le aziende che vogliono continuare a crescere e a fare profitti è un dato chiaro alle realtà di casa nostra.
Stando allo spaccato per Paese offerto dall’indagine DNV GL/GFK Eurisko, una azienda italiana su due ha già investito in iniziative dedicate ai Big data.
Il 54 per cento del campione nostrano li vede come un’opportunità e il 67 per cento si sta preparando per un futuro dove giocheranno un ruolo fondamentale.
Tuttavia, il percorso è appena all’inizio, se è vero che solo il 27 per cento è in grado di sfruttarli per incrementare la produttività e che appena il 19 per cento delle aziende italiane ha adottato una strategia ad hoc.
A quanto pare, le imprese di casa nostra si sarebbero al momento concentrate su iniziative preliminari allo sfruttamento, dedicandosi all’implementazione di nuove metodiche e tecnologie (29 per cento) o al miglioramento della gestione delle informazioni (27 per cento).
Tra i principali ostacoli al progresso nello sfruttamento dei Big data segnalati dalle realtà tricolori peserebbe più che nel resto del mondo la necessità di concentrarsi su altre priorità, come affermato dal 37 per cento degli interpellati, rispetto a una media mondiale del 17 per cento.
Ma tant’è.
Chi si dice certo del peso che i Big data avranno in futuro per il proprio business dichiara, nel 65 per cento dei casi, di volersi concentrare sullo sviluppo di competenze interne per la gestione della crescente complessità in materia di data governance rispetto a una media che non supera quota 18 per cento.