Fino a qualche tempo fa il panorama delle CPU server e dei processori per PC e workstation era quantomeno “rassicurante” nella sua stabilità, se non proprio cristallizzato. Il predominio Intel era poco discutibile in ambito business e le famiglie di prodotti erano ben delineate.
I PC desktop o portatili alla ricerca di prestazioni usavano CPU Intel Core i7, per i server la configurazione più gettonata era con due processori Xeon di varia potenza a seconda delle necessità. In mezzo restavano le workstation grafiche, in cui i Core i7 e gli Xeon si dividono il campo a seconda delle esigenze di potenza. Erano – e sono ancora, peraltro – le classiche scelte che non ti fanno sbagliare nella scelta dell’hardware.
Poi alla fine del 2016 AMD ha deciso di dare davvero battaglia a Intel e ha presentato il frutto del suo lavoro per lo sviluppo della nuova microarchitettura Zen. Zen è la denominazione di una nuova generazione di core che saranno integrati in vari tipi di processori, la cui potenza elaborativa dipenderà soprattutto dal numero di core attivi.
Per ora sono state lanciate due linee di CPU, denominate Ryzen 7 e Ryzen 5, e presentata una terza specifica per il mondo server: Naples. Intel invece è andata avanti sulla strada della settima generazione – Kaby Lake – delle sue CPU, i cui sviluppi per desktop, server e workstation sono relativamente recenti.
Parola d’ordine: multi-core
AMD ha scelto di puntare pesantemente sul funzionamento multi-core dei nuovi processori, sostenendo che le applicazioni più orientate al futuro – nella pratica quelle cosiddette “cloud native”, di solito organizzate in container – sono capaci di sfruttare al meglio tutti i core e tutti i thread dei processori che le eseguono. Questo vale a maggiore ragione per le CPU server, dato che il mercato oggi più interessante è quello dei server x86 per i grandi hyperscaler.
Ciò che AMD presenta ora come suo vantaggi competitivo è dare più core allo stesso costo delle CPU Intel. O anche dare processori che a parità di numero di core costino orientativamente il 50-60 percento in meno. Questo ben sapendo che Intel mantiene un altro vantaggio che al momento AMD non può scalfire: a livello di singolo core le prestazioni delle CPU Intel sono superiori a quelle di Zen. Il che complica un po’ le cose, a livello teorico, ma nella pratica è un dettaglio che l’utente medio potrebbe anche non percepire.
Intel non nega l’importanza del numero dei core ma ha un approccio più tradizionale quando si tratta di CPU server e desktop “classiche”. La combinazione di singoli core performanti con un numero di core “adeguato” viene evidentemente ritenuta sufficiente per le applicazioni più comuni. Le evoluzioni griffate Intel ad alto numero di core ci sono, ma indirizzate (vedi Xeon Phi) ad ambiti più esigenti derivati dall’High Performance Computing o dalle applicazioni di machine learning.
Così AMD può giocare su una contrapposizione netta di prodotti, anche a livello di denominazione. In campo server “entry” e workstation questo significa che AMD contrappone i suoi processori Ryzen 7 a otto core tipicamente alle CPU Intel Core i7 a quattro o sei core. O al massimo al Core i7 6900K Extreme, a otto core ma a un costo di oltre mille dollari, il doppio della CPU “top” di AMD.
Si parla di processori AMD che sono disponibili solo da un mese circa e che non hanno ancora una “storia” di performance documentate, i test dichiarati di AMD hanno puntato nettamente su carichi di lavoro multi-core e hanno mostrato prestazioni analoghe a quelle delle CPU Intel con lo stesso numero di core.
Approcci diversi alla prova dei fatti
Ma è corretto questo confronto basato tutto sul numero di core? Formalmente sì, ma non esaurisce la questione. AMD ha teoricamente ragione quando indica che le applicazioni “containerizzate” possono sfruttare bene processori multi-core, ma quanto questo rappresenti un vantaggio in assoluto deve essere visto e valutato caso per caso. E poi ci sono tutte le applicazioni che il vantaggio del multi-core lo sfruttano in maniera molto meno evidente. Il dibattito si fa ancora più interessante in prospettiva, pensando alla vera CPU server di AMD deve ancora arrivare: è Naples, un processore con ben 32 core e 64 thread quando le CPU Xeon arrivano al massimo a 24 core.
Anche Naples deve scegliere una sua strada alternativa rispetto al modello “doppio Xeon” che ormai va per la maggiore. Giocando sul numero di core può proporsi come soluzione più semplice per server monoprocessore che possano gestire carichi paragonabili ai sistemi con doppia CPU. L’estendibilità nei datacenter, d’altronde, secondo AMD va sempre più verso sistemi modulari in cui le CPU server siano affiancate da GPU e acceleratori hardware.
Intel lo sa e ha ancora spazio di manovra: i nuovi Xeon in architettura Kaby Lake devono ancora arrivare in massa. Per ora si è visto solo il “piccolo” della famiglia: lo Xeon E3-1200 v6 a quatto core. Il messaggio è sembrato quello della evoluzione indolore per chi ha sistemi più datati: stesso socket e stesso chipset degli E3 v5, senza quindi bisogno di nuove motherboard. È il vantaggio di partire da una posizione di mercato molto solida.