Continua la querelle tra operatori mobili e vendor di apparati per le reti 5G da un lato e, dall’altro, la Commissione Europea.
La quale, in effetti, non è che abbia aggiunto particolari spunti di polemica: si limita a mantenersi in linea con i piani che si era data tempo fa e che sta man mano delineando con le proprie discussioni interne.
È proprio questo che non fa dormire sonni tranquilli al mercato, tanto che alcune associazioni hanno emesso un documento comune di critica.
La posizione negativa è stata espressa da sei entità, di cui alcune molto note. Ci sono in prima fila Etno (European Telecommunications Network Operators Association) e la GSM Association, ma anche le associazioni di chi si occupa di medicale (Cocir), sviluppo software (Developers Alliance) e TV via cavo (Cable Europe). E infine DigitalEurope.
La posizione comune è che il dibattito legislativo europeo sulle riforme delle telecomunicazioni “abbia perso il suo focus sull’importanza del 5G come una delle tecnologie chiave” per la competitività dell’economia europea. È una posizione che, separatamente, anche altre aziende come Nokia ed Ericsson hanno espresso in queste settimane.
Secondo le cifre di Ericsson, ad esempio, l’Europa resterà indietro nello sviluppo del 5G rispetto alle altre aree geografiche del mondo. Nel 2022 il 25 percento circa degli abbonati nordamericani sarà passato al 5G e lo avrà fatto anche il 10 percento di quelli della regione Asia-Pacifico. La regione EMEA non dovrebbe arrivare nemmeno al 5 percento.
Il punto chiave del confronto è quanto il 5G Action Plan europeo, nato per favorire investimenti e innovazione nel campo del 5G, sia compatibile con il futuro European Electronic Communications Code e la e-Privacy Regulation. Sono queste a non essere considerate per così dire investor-friendly. Così si sottolinea che “Il panorama per gli innovatori appare piuttosto cupo. C’è poca attenzione a ridurre il peso delle norme, al contrario ci sono piani per aumentare ulteriormente le regole e la complessità”.
Una posizione nota
In realtà non siamo poi andati granché avanti dal Manifesto for timely deployment of 5G in Europe che gli operatori presentarono circa un anno fa e che era già stato accolto con una certa freddezza dalla UE. Le critiche espresse in questi giorni derivano probabilmente dal timore che il manifesto sia di fatto ignorato.
Cosa peraltro quasi inevitabile, sottolineano alcuni critici, perché il documento esprimeva alcune preoccupazioni e linee guida condivisibili ma anche posizioni piuttosto vaghe in quanto a impegni degli operatori a fronte di precise richieste alla UE in campo finanziario e normativo. Il Manifesto chiedeva tra l’altro investimenti con fondi strutturali, per realizzare reti dimostrative e investire in startup, ed evidentemente un rilassamento delle norme sulla neutralità della rete.
Queste, si sottolineava, “creano incertezze significative sul ROI del 5G” e di conseguenza gli investimenti degli operatori “probabilmente saranno ritardati fino a quando i normatori assumeranno una posizione positiva sull’innovazione e vi resteranno fedeli”. Una posizione, secondo alcuni analisti, che rischia di essere sorpassata dall’entrata sul mercato di operatori diversi, più orientati ai servizi a valore aggiunto.