Con Carlo Baffé, business development manager di SUSE Italia abbiamo fatto un bilancio qualitativo dei SUSE Expert Days, condotti all’insegna del messaggio open, redefined.
Da anni i SUSE Expert Days sono il verbo della società che arriva sul territorio. Si tratta di 85 tappe complessive nel mondo (in Italia sempre due: Milano e Roma) per parlare di tecnologia con i veri esperti, come gli sviluppatori.
Circostanza che avvicina SUSE ai suoi clienti: in tutta SUSE la metà delle risorse sono sviluppatori. Quest’anno l’affluenza è stata superiore allo scorso anno, anche nelle lunghe sessioni pomeridiane, quelle ultra tecniche, che vengono tenute con i partner.
Il significato del messaggio open, redefined veicolato da SUSE è chiaro: con la trasformazione digitale ciò che cambia è come si lavora.
Servono, quindi, soluzioni per dare efficienza gestionale e fare cose nuove, ma senza buttare quello che hai già fatto. «Per noi – spiega Baffé – essere open significa anche questo: saper integrare il passato dell’azienda con quello che è il suo presente e sarà il suo futuro».
La visione applicativa open
SUSE lo fa con due pilastri tecnologici. Il primo pilastro è la Software-defined infrastructure, impostazione tecnologica che condensa la storia open di SUSE.
Il secondo è l’application delivery, che è necessariamente diverso dal passato perché deve permettere evoluzioni continue.
I motivi sono concreti e tutto parte dalla necessità di business. «Si deve poter cambiare molto spesso le applicazioni. Non viiamo più la situazione degli anni scorsi, in cui si facevano al massimo quattro aggiornamenti all’anno. Ora in ambito mobile se ne fanno ogni settimana», spiega Baffé.
Pertanto non puoi più usare applicazioni monolitiche, ma le devi fare «a bocconi piccoli. Da qui nasce l’idea dei microservizi». E quindi anche di team di sviluppo agili, che lavorano su un singolo servizio.
Fatto il servizio software, va affrontato il tema della portabilità sulle varie piattaforme. E lo si risolve con i container, «che sono un oggetto per definizione portabile proprio come i container veri. L’uso congiunto di microservizi e container, semplifica l’automazione dei test e dei rilasci, facilitando la creazione di catene di continous integration e di conseguenza continous deployment».
Quando queste applicazioni sono messe in servizio, la cosa complicata è gestirle e capire se hanno bisogno di intervento.
«Le istanze dei container possono essere anche tantissime, nell’ordine delle migliaia, non puoi lasciare che la gestione spetti a un essere umano, che non avrebbe la possibilità di vederle tutte. La gestione deve essere automatizzata, con un automa opportunamente istruito. Ecco che appare sulla nostra scena Kubernetes, la piattaforma che orchestra la gestione applicativa».
In questo contesto rientrano anche le applicazioni già esistenti? Certo: si può trasformare la vecchia applicazione rendendola “a microservizi” con l’obiettivo di renderla più facilmente e rapidamente aggiornabile..
Nulla è per sempre
«In campo software – dice Baffé – bisogna mettersi in testa che nulla è per sempre». Ma anche che tutto può cambiare.
«I nostri prodotti sono gli stessi on premise e su cloud. Perché i clienti devono essere liberi di scegliere, anche questo è valore open. Il cloud piace perché è facile da consumare, non perché è virtualizzato». Che sia pubblico o in casa (private cloud) è uguale.
I feedback degli utenti nei SUSE Expert Days sono stati molto positivi, con sessioni pomeridiane fiume, racconta Baffé.
A loro è stato anticipato il senso di SUSE Linux Enterprise 15, che uscirà con due abiti, uno classico e uno per nuovi tipi di deployment, basato su un mini installer che prende dalla rete solo lo stretto necessario.
Open Source e intelligenza artificiale, destino comune
In questo quadro vanno collocate anche le emerging technologies. Tutte: da realtà virtuale e aumentata a blockchain, da chatbot a robot, hanno impatto su infrastrutture e applicazioni.
L’Intelligenza artificiale collegata al machine learning è uno dei megatrend che impattano su infrastruttura.
«Abbiamo un cliente – spiega Baffé – con tanti negozi, che capisce dove capitano i taccheggi incrociando i dati su un’applicazione basata su machine learning per combattere le frodi. Hanno allenato l’algoritmo con dati veri, hanno preso i dati e fatto un PoC, con risultati migliori in un ordine fattore 20 rispetto a metodi di analisi classici».
Tutto con tecnologia open source, non necessariamente tutta SUSE.
Il valore dell’open sta anche in questo: nell’incrociare esperienze tecnologiche.