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Come distinguere il vero Storage-as-a-Service

Secondo Umberto Galtarossa, Partner Technical Manager, Pure Storage, negli ultimi 12-18 mesi i responsabili IT si sono giustamente preoccupati di come riuscire a ridurre i costi dei loro ambienti IT a fronte di quanto sta accadendo negli ultimi tempi. Indipendentemente dalla scelta di lavorare completamente in cloud, on-premise o in modalità ibrida, si sono rivolti tutti verso modelli IT capaci di produrre i vantaggi propri del cloud: flessibilità nei consumi, semplificazione dell’esperienza utente, riduzione del TCO e varietà in termini di opzioni di supporto.

Ciò rappresenta implicazioni significative per quanto concerne l’infrastruttura, che è una componente IT critica per qualsiasi azienda intenzionata a competere in un’economia digitale. I responsabili IT richiedono sempre più spesso modelli infrastrutturali maggiormente simili al nuovo mondo del cloud piuttosto che al vecchio sistema degli acquisti pluriennali, dell’appesantimento operativo e della responsabilità di garantire gli SLA caricati sulle spalle degli stakeholder. Oggi i CIO esperti vogliono allontanarsi dalle problematiche legacy quali costi anticipati, lock-in che li vincolano a uno specifico fornitore, previsioni rischiose e overhead imprevedibili.

Un recente studio di IDC indica che, entro il 2024, il 43% delle aziende si aspetta di aumentare il consumo di modelli -aaS quale diretta conseguenza dell’ultima crisi economica. Metà dell’infrastruttura data center mondiale verrà destinata alle proposte as-a-Service. Purtroppo, quando si tratta di storage, non tutti quelli che sono alla ricerca di un reale modello Storage-as-a-Service (STaaS) riescono a trovarne uno.

Uno Storage-as-a-Service non vale l’altro

I team di procurement incaricati di trovare una soluzione STaaS rischiano di restare delusi dalle limitazioni imposte da alcuni provider. Le stesse pressioni che stanno spingendo i clienti verso nuovi modelli operativi stanno costringendo i fornitori legacy a prendere consapevolezza della necessità di adattare le loro proposte. Alcuni tuttavia lo stanno facendo inventandosi degli artifici tali da riuscire a malapena a passare per modelli di consumo flessibile nelle procedure di specifica e selezione, ma che poi crollano di fronte alle moderne esigenze real-time del business. I lock-in a lungo termine, le fluttuazioni dei costi e gli aggiornamenti destabilizzanti del passato continuano a esserci.

Il CIO moderno, pronto a far sparire ogni traccia legacy, deve cercare i segni dei “finti abbonamenti on demand” che si spacciano per STaaS. Per prima cosa diciamo che -aaS dovrebbe essere ben più che un semplice modello di costo legato a un abbonamento. Raccontando agli stakeholder aziendali le virtù dei costi operativi rispetto a quelli di capitale si può riuscire a convincere qualcuno, ma i CIO hanno ora bisogno dell’impegno a rispettare ulteriori requisiti al di là di quelli dei costi. Nell’implementazione di uno STaaS reale, i responsabili IT hanno bisogno di veri business partner, non di semplici fornitori.

I provider che mascherano modelli legacy come risposte innovative alle necessità emergenti saranno poco disposti a impegnarsi su parametri SLA definiti per il cliente. I termini di ingaggio di questi provider prevedono che la “S” di “-aaS” venga eliminata. Viene prestata molta attenzione al fine di evitare che i contratti includano penali associate a prestazioni o fermi operativi. La responsabilità della gestione della capacità viene magari attribuita al cliente, imponendogli di essere proattivo nel pianificare e richiedere gli incrementi di spazio.

Alla fine, oltretutto, queste modifiche potrebbero non essere possibili in base al contratto dal momento che una determinata capacità potrebbe essere modificabile solamente alla data di scadenza o rinnovo dello stesso. I contratti possono contenere clausole che impegnano il provider per una semplice frazione della capacità richiesta. E sul fronte della gestione degli asset, i clienti scoprono frequentemente di dover presentare richieste specifiche e magari farsi anche carico dei costi di spedizione e installazione.

Umberto Galtarossa Pure Storage
Umberto Galtarossa

Ecco come si presenta una proposta valida

Il vero STaaS offre un modello per i costi operativi, ma va ben oltre seguendo la direzione di un approccio da business partner che si concentra sulla fornitura di valore e flessibilità. I provider STaaS creano le loro proposte intorno a SLA e SLO, e definiscono gli accordi avendo chiaramente a mente le necessità dei CIO. Per poter offrire un vero servizio devono esserci dati, osservabilità e telemetria dei workload per poter gestire i parametri SLO stabiliti. In questo caso la parola “Service” torna a far parte di “as-a-Service”.

Per prima cosa, sulla base dei loro modelli di business incentrati sul servizio, i veri provider STaaS non dovrebbero presentare alcuna resistenza di fronte all’inserimento di penali contrattuali legate alle prestazioni e alle interruzioni operative, avendo accuratamente progettato le loro operazioni per non bloccarne mai il funzionamento. La gestione della capacità è oggetto di una stretta collaborazione tra provider e cliente, dove esiste storage supplementare che viene tenuto da parte fin dall’inizio per consentire un’eventuale rapida espansione on-demand; e il contratto permetterà di apportare queste variazioni in qualsiasi momento senza alcuna penale per la “inosservanza” delle clausole. In un accordo appropriato, i provider anticipano le esigenze in termini di asset, prevedono le spedizioni secondo necessità e non applicano costi supplementari per le installazioni.

Forse una delle caratteristiche più evidenti dei modelli cloud-like non è tanto la capacità di seguire l’evoluzione dei tempi, bensì la possibilità di farlo automaticamente. Una soluzione Storage-as-a-Service prevede gli aggiornamenti hardware e software appena sono disponibili, non quando il cliente li richiede e li paga. E tali aggiornamenti sono al 100% sicuri e senza interruzioni operative, in contrasto con i processi di completa ricostruzione che i modelli legacy impongono ogni 3-5 anni comportando non solo fermi operativi e di manutenzione pianificati, ma anche rischi inutili e non auspicabili. È questa caratteristica, più di ogni altra, a provare la buona fede di qualsiasi provider che propone soluzioni STaaS.

È tempo di tirare le somme

Il vero Storage-as-a-Service è semplicemente il modello che i clienti richiedono anziché quello che alcuni provider legacy vogliono imporre ai clienti stessi. Come requisito minimo, la proposta STaaS dovrebbe prevedere un’esperienza cloud, nessuna interruzione in fase di migrazione né successivamente, facilità di installazione, gestione proattiva, opzioni flessibili per l’adozione, l’espansione e l’uscita, prezzi trasparenti, flessibilità architetturale dal cloud all’on-premises fino all’ibrido, capacità di automazione in particolare negli aggiornamenti e nella manutenzione, e un’esperienza trasparente che non cambia a seconda del fatto che la soluzione venga erogata direttamente o tramite un partner.

STaaS ha la capacità di accelerare la trasformazione digitale delle aziende e di aiutarle a fare di più con i loro dati. I CIO possono allineare meglio la tecnologia con gli obiettivi di business e ridisegnare le unità operative affinché le persone responsabili dello storage possano dire addio alla monotonia della gestione quotidiana per diventare più creative e innovative: la conseguenza è un utilizzo più efficace dei fondi allocati, quindi una maggior produttività da cui scaturisce innovazione e, da essa, la crescita del business. E nell’economia digitale globale di oggi, potrebbero esserci motivazioni migliori per scegliere un vero Storage-as-a-Service?

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