Indagine su 97 Cio italiani: il 50% del campione ha registrato un calo dei budget. L’idea è razionalizzare e consolidare, con qualche investimento nell’area 2.0. L’analisi dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano.
L’incertezza sui mercati ha avuto un impatto molto forte sugli investimenti delle aziende. L’Ict un po’ si è salvata perché è una macchina che non si può fermare, anche se in parte ne ha risentito.
Questo un primo commento di Mariano Corso, docente e ricercatore del Politecnico di Milano, che, durante un recente evento di Cisco (tenutosi a Maranello presso la sede della Ferrari) ha presentato l’indagine sul tema “Ict e innovazione ai tempi della crisi” realizzata dall’Osservatorio della School of Management del Politecnico.
L’andamento dei budget
Corso è entrato nel merito, specificando che per la ricerca sono stati intervistati 97 Cio italiani nell’aprile scorso. Una delle prime domande ha riguardato il budget: è risultato che nel corso del 2009 il 18% del campione ha visto diminuire il proprio budget di oltre il 20%, mentre un 32% si è limitato a un calo tra il 10 e il 20%. Per un 32% è rimasto invariato, per un 16% è aumentato (sotto il 20%) mentre per un 2% è aumentato in modo rilevante.
Questo significa, secondo Corso, che c’è una forte tendenza al consolidamento, visto che dalla ricerca è emerso che sono cambiati i driver stessi della strategia Ict. Infatti nel 47% dei casi la parola d’ordine era razionalizzazione e consolidamento, una conferma che i Cio sono riusciti a dimostrare al top management che è la via per tagliare i costi.
Un altro driver è dato da sviluppo e innovazione (26%), seguito da velocità, flessibilità e reversibilità.
«Si può coniugare sviluppo e innovazione con la razionalizzazione?», si è chiesto Corso. E, in secondo luogo, «questa passione forte alla riduzione degli investimenti e al contenimento dei costi finirà per bloccare completamente ogni velleità di lavorare sulle nuove tecnologie? Che ne sarà dell’Enterprise 2.0? Abbiamo cercato di capire come il campione si è mosso, entrando dentro ai budget, analizzando se effettivamente c’è stato un appiattimento verso l’Ict più tradizionale per spostare il nuovo in tempi migliori o se invece è successo qualche cosa di diverso. Da nostri precedenti report è emerso che contrariamente alla tendenza di diminuzione del budget ci sono degli ambiti tecnologici che si comportano in netta controtendenza. Per esempio, si investe molto più del passato sul tema dell’Enterprise content management (Ecm), cioè nello sviluppo di sistemi nuovi per andare a gestire non soltanto la parte delle informazioni strutturate ma anche tutto il mondo del know how destrutturato».
Altri temi in crescita sono risultati quello dell’Unified communication & collaboration, e quello dell’Adaptive enterprise architecture, cioè il mondo della trasformazione delle infrastrutture aziendali in una direzione di maggiore adattabilità, come ad esempio l’uso del cloud computing come piattaforma, il ricorso all’integrazione di Software o di Infrastructure as a service. Altro tema interessante è risultato il crescente ricorso allo sviluppo di piattaforme dedicate a specifiche funzionalità di comunicazione.
Dove vanno gli investimenti Ict
Dall’indagine condotta presso i Cio, è emerso anche che per i prossimi tre anni gli investimenti saranno rilevanti in ambito Unified collaboration & communication (per il 60% del campione), Content & document management (46%), Social network & community (35%) e Virtualization & adaptive enterprise (34%).
Analizzando in particolare l’ambito Unified communication & collaboration (dove l’investimento medio per azienda è risultato essere di 200.000 euro), si riconosce che questa scelta tecnologica comporta una serie di benefici individuati in efficienza e riduzione dei costi, supporto alla collaborazione, efficacia e tempestività dei processi e delle decisioni, innovazione di prodotti e servizi, flessibilità al cambiamento e via dicendo.
Con questo approccio si introducono anche nuove logiche di comunicazione e di collaborazione interne ed esterne, supporto a nuove forme di lavoro a distanza e in mobilità e si snellisce una serie di relazioni organizzative.
Tra le barriere, invece, ai primi cinque posti il campione ha citato il costo degli investimenti (in quanto sono percepite ancora come tecnologie costose, «anche se in realtà non lo sono» ha osservato Corso), la difficoltà a identificare e valutare i benefici economici, la scarsa conoscenza interna delle potenzialità, la necessità di avviare cambiamenti organizzativi e le resistenze degli individui all’utilizzo.
La Virtualization & adaptive enterprise (investimento medio di 600.000 euro) è un tema nuovo le cui motivazioni sono state identificate soprattutto in efficienza e riduzione dei costi e flessibilità al cambiamento, ma subito dopo al primo posto tra le barriere emerge paradossale il problema dell’investimento e dei costi necessari, «un circolo vizioso che le società devono trovare il modo di superare» ha ribadito il ricercatore. Segue la necessità di cambiamenti organizzativi e la difficoltà di identificare e valutare i benefici economici.
I nuovi modelli di delivery e l’atteggiamento dei Cio
Venendo al capitolo dei nuovi modelli di delivery che stanno emergendo, come il Saas, il Cloud computing, l’Infrastructure as a service, lo Storage as a service, il Communication as a service, il Free per user, il per user per month, Corso ha sottolineato che inevitabilmente comportano una serie di interrogativi.
Per esempio bisogna sapere che esiste tutta una serie di tecnologie che viene offerta in modo gratuito sul Web, e quindi capire che differenza c’è tra quest’offerta e quella enterprise a costi ben diversi.
Oppure: esistono costi nascosti nei nuovi modelli d’offerta o c’è il rischio di una disintermediazione, con corto circuito tra fornitore e utente? Quanto inciderà sulle scelte la logica finanziaria di eliminare l’investimento iniziale e avere un costo per utente da presentare al Cfo o al Ceo? Quanto incideranno sulle scelte i timori relativi alla riservatezza e alla sicurezza dei dati e delle risorse Ict? E se si va verso una standardizzazione generale come si fa a costruire i differenziali competitivi? Questi sono tutti interrogativi con i quali un Cio e anche i fornitori devono ormai sapersi confrontare.
Oggi l’atteggiamento dei Cio verso questi modelli è ancora prudente, ma tra chi ha già attivato un approccio, i maggiori benefici ex post ottenuti dai modelli “as a service” riguardano in particolare una maggior flessibilità e scalabilità, una maggior misurabilità e controllabilità dei costi e un costante aggiornamento delle funzionalità.
Le criticità, invece, rilevate ex post riguardano la presenza di costi nascosti, la necessità di connettività affidabile e sufficientemente veloce, i rischi legati a livelli di servizio effettivamente erogati e la scomparsa, spesso repentina, dei fornitori di mercato, in molti casi dovuta ad acquisizioni.
A conclusione Corso ha affermato che «la funzione Ict si trova in un momento molto interessante, perché le necessità impellenti che stanno mettendo sotto stress l’intera azienda, rappresentano delle molle grazie che le consentono di trovare l’attenzione del top management per fare una serie di investimenti, che possono portare a un cambiamento strutturale e che aiutano a lavorare meglio».