L’Accademia Italiana Privacy è un’associazione che riunisce, promuove e rappresenta le professioni operanti nell’ambito privacy e cyber security attraverso una costante attività di formazione e di controllo.
Fondata nel 2018, ha come missione il promuovere con ogni mezzo la conoscenza e la diffusione di buone pratiche per l’applicazione delle normative vigenti in materia e creare sinergie tra i soci per un confronto e uno scambio costante e continuo.
Il suo obiettivo attuale è porsi come soggetto e punto di riferimento nazionale per valutare l’evoluzione giuridica e tecnica della materia della tutela dei dati personali, fornendone una propria interpretazione e promuovere corsi di formazione, convegni, seminari, ricerche e pubblicazioni dedicate alle tematiche della privacy. Mentre nel medio termine l’associazione si propone di estendere il proprio raggio d’azione trasformando la propria identità in Accademia Internazionale Privacy.
é prpsottolinea una recente notizia, emersa lo scorso 10 ottobre, inerente una possibile indagine del governo statunitense su TikTok. Sono i problemi legati al controllo della celebre app cinese in tema privacy e libertà di espressione ad essere sotto la lente di ingrandimento.
TikTok sarebbe finita nel mirino del senatore repubblicano Marco Rubio per problemi legati alla sicurezza nazionale. Secondo Rubio, l’app avrebbe politiche che puntano a “censurare contenuti e mettere a tacere l’aperta discussione su argomenti ritenuti sensibili dal governo cinese e dal Partito Comunista“.
Non è certo la prima volta che TikTok finisce nell’occhio del ciclone, e anzi è alle prese con problemi decisamente peggiori.
La tutela della privacy degli utenti, in particolar modo dei più giovani, è un punto decisamente critico. Dopo la multa da 5,7 milioni di dollari comminata negli stessi USA per la violazione delle condizioni previste dal Children’s Online Privacy Protection Act, TikTok è sotto scrutinio anche nel Regno Unito, dove rischia una multa ben più salata (si parla di 20 milioni di euro) ai sensi di quanto previsto dal GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati.
In entrambi i casi l’azienda, con sede a Pechino, è stata messa sotto accusa per non aver rispettato le norme sul trattamento dei dati degli utenti minorenni, che in Europa come negli Stati Uniti richiede l’autorizzazione da parte dei genitori quando gli utenti stessi hanno un’età inferiore ai 13 anni.
Uno scoglio che TikTok ha cercato di aggirare inserendo nelle condizioni di utilizzo dell’applicazione il divieto di iscrizione ai minori di 13 anni ma che secondo le autorità statunitensi e britanniche non ne avrebbe impedito di aggirarla, semplicemente “barando” sulla loro età al momento dell’iscrizione.
Il problema si pone al di là del caso TikTok e non si può pensare di risolverlo con semplici sistemi sanzionatori. Il tema richiede invece una riflessione molto più ampia, che parta per esempio dalla necessità di mettere in campo strumenti che possano consentire un’identificazione certa di chi fruisce dei servizi su Internet tutelando allo stesso tempo la loro privacy. Infatti, nessuna azienda ha oggi a disposizione strumenti tecnici che le consentano di verificare l’età degli utenti e, tantomeno, quelli che permettano di certificare l’autenticità di una eventuale autorizzazione dei genitori.
I primi tentativi di mettere in campo qualcosa del genere, avviati nel Regno Unito con un progetto che prevedeva l’obbligo per siti e piattaforme di richiedere l’upload di un documento di identità che certificasse la maggiore età degli utenti, si sono scontrati con il timore di generare un effetto boomerang che finiva per mettere a rischio la riservatezza dei dati stessi. Un paradosso difficile da superare che, però, non può esaurire la discussione su questo argomento.
Alessandro Papini, Presidente dell’Accademia Italiana Privacy, spiega che «Il tema della tutela dei minorenni su Internet e del trattamento dei dati che condividono sulle piattaforme online è caldissimo. Purtroppo sembra che l’approccio attuale si muova su due piani che rappresentano entrambi un vicolo cieco: lasciare la soluzione alla buona volontà delle singole aziende o scaricare tutte le responsabilità sul dovere di sorveglianza in capo ai genitori».
L’Accademia Italiana Privacy sottolinea la necessità di un dibattito che affronti questa tematica e che permetta di avviare un percorso che conduca alla creazione di strumenti legislativi e tecnologici in grado di tutelare in maniera adeguata la privacy di chi utilizza software e piattaforme online, in particolare dei minori.