L’innovazione in azenda non è un processo facile: il percorso che va dalla generazione di nuove idee, alle azioni che permettono di selezionare e tenere in vita le migliori, alla loro realizzazione e industrializzazione è lungo, richiede organizzazione …
L’innovazione
in azenda non è un processo facile: il percorso che va dalla generazione
di nuove idee, alle azioni che permettono di selezionare e tenere in vita le
migliori, alla loro realizzazione e industrializzazione è lungo, richiede
organizzazione, chiarezza di idee e persistenza. È un vero e proprio
lavoro quindi, che richiede capacità manageriale e focalizzazione e che
sempre più spesso viene affidato ad uno specialista, il “Chief
Innovation Officer”.
Prima di approfondire il contesto all’interno del quale egli si colloca
e opera vale la pena di chiarire che tra i due tipi di innovazione: quella tecnico-scientifica
e quella artistico-creativa, noi ci riferiamo soltanto alla
prima. In Italia, infatti, l’innovazione artistico-creativa ha una sua
collocazione ben definita e riconosciuta a livello internazionale, con il design,
l’arte e, più in generale, l’espressione artistica. Al contrario
per quanto riguarda l’innovazione tecnico-scientifica il paese stenta
a trovare una propria identità: i limitati investimenti nella ricerca
di base e la scarsa propensione dei giovani ad intraprendere professioni tecniche
e scientifiche ne sono al tempo stesso testimonianza, causa ed effetto.
Eppure l’innovazione rappresenta una fonte di ricchezza: basta guardare
nel mondo alla classifica delle principali aziende per capitalizzazione e considerare
la loro capacità innovativa per capire che si tratta di una realtà.
Rinnovarsi continuamente, sviluppare sempre nuove proposte al mercato significa
anticiparne i bisogni e quindi generare più ricchezza. Questo è
ancora più vero nell’era della globalizzazione in cui il mercato
è vastissimo e idee e soluzioni si propagano a velocità straordinaria.
Tornando all’analisi dell’innovazione, un altro elemento importante
che richiede considerazione risiede nelle dimensioni dell’azienda
che vuole fare innovazione: i problemi e le opportunità per
una start-up sono infatti ben diversi da quelli per un’azienda già
avviata.
Nel primo caso, l’innovazione è spesso la ragione stessa d’essere
della start-up e l’obiettivo primario dell’imprenditore è
quello di trovare e garantire sostegno economico in modo che l’idea possa
svilupparsi, affinarsi e maturare fino alla sua realizzazione ed affermazione
sul mercato. L’Italia purtroppo non è la California e ancora non
troviamo, neppure nelle aree più industrialmente avanzate del paese,
quell’ecosistema fatto di idee, persone, accesso al capitale e infrastrutture
che costituisce l’ambiente ideale per la crescita delle start-up.
Tuttavia molto è stato fatto, come emerge anche da uno studio in via
di pubblicazione, elaborato dall’Associazione Alumni Accenture (“Le
dimensioni dell’innovazione”, AA. VV.), e anche in Italia incominciamo
a trovare organizzazioni che si occupano di incubazione e industrializzazione
di idee, business angels, fonti di finanziamento pubblico e venture capital
privato. I ricercatori e i giovani imprenditori possono quindi guardare con
più speranza ad un futuro in cui l’innovazione che merita può
realizzarsi e trovare successo sul mercato.
Nel caso delle aziende di maggiori dimensioni già avviate e strutturate
il problema dell’innovazione è un po’ diverso e la sfida
sta soprattutto nello stimolare la generazione di idee, nella loro selezione
e nella loro effettiva introduzione nel corpo vivo dei prodotti e dei processi
aziendali esistenti.In tutte e tre queste fasi il Chief Innovation Officer ha
un ruolo fondamentale.
- Per quanto riguarda la fase di stimolo, il suo compito
è quello di creare un ambiente generalmente favorevole alla generazione
e proposizione di idee. Egli deve saper coinvolgere tutti i dipendenti, nell’intera
organizzazione, attraverso una serie di strumenti che vanno inquadrati in
un piano organico di comunicazione e di riconoscimenti tangibili. Un ulteriore
elemento in questa prima fase consiste nella creazione di un osservatorio
permanente sull’innovazione che sappia registrare e valutare
tutte le idee e gli stimoli provenienti dall’interno e dall’esterno:
richieste dei clienti, proposte dei fornitori, nuove tecnologie, comportamenti
dei concorrenti. - Nella seconda fase di vaglio e selezione dell’innovazione,
l’attività del Chief Innovation Officer deve essere maggiormente
rivolta ai tradizionali processi di Ricerca &Sviluppo. L’azienda
ha già una missione, un mercato di riferimento e un’organizzazione
definiti e l’innovazione deve essere inquadrata in questo contesto.
La selezione delle idee, orientata alla fattibilità concreta in un
determinato contesto temporale ed economico, in genere è brutale e
rischia a volte di ingenerare frustrazione e disamore in chi ha proposto ed
ha lavorato con passione allo sviluppo iniziale dell’innovazione. Anche
in questo caso il Chief Innovation Officer può avere un ruolo, facendosi
promotore e garante di un modello misto tra innovazione delle imprese e imprenditorialità
individuale: l’azienda può infatti decidere di non sostenere
al proprio interno l’idea ma può magari decidere di diventare
partner e finanziatore dell’individuo che l’ha proposta. Si ottiene
così una ‘gemmazione’ dell’impresa, con benefici
per tutte le parti coinvolte e con un progresso complessivo dell’ecosistema
di innovazione di cui si parlava prima. - Nella terza fase e ultima fase, quella di industrializzazione dell’innovazione
il Chief Innovation Officer deve promuovere la rimozione dei piccoli ostacoli
e dell’inerzia che normalmente nelle grandi aziende si oppongono all’innovazione.
Deve quindi diventare agente del cambiamento e contribuire ad instaurare un
clima di collaborazione ed interesse che a sua volta diventa foriero di ulteriori
idee e innovazione.