Gli acquisti in-app a parole non sembra abbiano granché sostenitori perché molti li considerano una forma di pagamento “nascosto” e poco controllabile, rispetto all’acquisto una tantum di un’app che poi offre tutte le sue funzioni senza limiti. Però è un modello che funziona anche molto bene: a certificarlo sono gli analisti di Gartner, che hanno condotto un’indagine su un campione di circa tremila utenti di app in varie nazioni.
Il risultato principale è che il campione spende mediamente ogni tre mesi 7,4 dollari nell’acquisto di app a pagamento e 9,2 dollari in acquisti in-app: uno scarto leggermente superiore al 24 percento che dimostra l’efficacia del modello. Inoltre, tra chi ha dichiarato che nell’ultimo anno ha aumentato il budget dedicato alle app è maggiore la percentuale di chi “investe” in acquisti in-app rispetto a chi fa acquisti una tantum.
Il fattore che spinge agli acquisti in-app è che sono quasi sempre legati ad app gratuite che mostrano subito il loro livello qualitativo e, se questo viene giudicato adeguato, gli utenti sono più disposti a spendere. Per converso l’acquisto una tantum di un’app viene considerato da molti, specie tra i più giovani, come una sorta di acquisto alla cieca.
Per questo Gartner consiglia agli sviluppatori di dare vita a una sequenza di acquisti in-app per funzioni extra che si mantengano nel tempo attraenti e persino ricorrenti, da affiancare magari a un upgrade “massiccio” a una versione premium dell’app. Pollice giù invece per la pubblicità integrata nelle app (come quella dell’ex iAd): due terzi del campione intervistato dichiara di non considerare mai gli annunci pubblicitari.