Le alleanze tra aziende sono una soluzione più flessibile rispetto alle filiere concentrate localmente
I distretti produttivi a base locale hanno segnato la storia dell’economia italiana ma oggi non sono più sufficienti a garantire un’adeguata risposta alle sfide della globalizzazione. Un sistema più moderno e flessibile, basato su alleanze tra imprese concorrenti per progetti specifici, sta iniziando a farsi strada anche nel nostro paese. È quanto ha evidenziato il convegno “Alleanze tra imprese: creare reti e aggregazioni per creare valore aggiunto”, organizzato da Assolombarda. Il 95% delle imprese nazionali, come noto, impiega meno di 50 addetti: questo “nanismo” imprenditoriale comporta inevitabili ripercussioni sulle nostre capacità competitive in mercati globali sempre più affollati, senza contare le maggiori difficoltà sul piano interno derivanti da una minore capacità di rispondere ai requisiti per l’accesso al credito stabiliti da Basilea II.
Alleanze senza perdere l’autonomia
Una strada alternativa alle aggregazioni forzate o all’apertura a finanziatori – modalità spesso indigeste a un tessuto di imprese familiari come il nostro – è appunto l’attivazione di reti, alleanze e partnership con altre aziende per ottenere sinergie di costo e di ricavo che sarebbero impossibili da ottenere con le proprie uniche forze, come testimoniano i casi celebri di Slow Food o del Fuorisalone di Milano. «Fare alleanze non significa perdere il controllo degli affari o la propria autonomia gestionale – ha spiegato Giorgio Basile, consigliere incaricato di Assolombarda – ma semplicemente non fare tutto da soli». «La crescente multifunzionalità dei prodotti rende difficile per una piccola azienda realizzare in tutto e per tutto qualcosa di complesso e veramente innovativo – ha aggiunto Domenico Palmieri, presidente di Aip (associazione italiana politiche industriali) – . Bisogna avere il coraggio di andare al di là del proprio tessuto territoriale, che non sempre può possedere tutte le risorse e la capacità necessarie a un’impresa che voglia competere sul mercato internazionale».
Un eccesso di burocratizzazione
Eppure nel nostro paese quando si parla di reti di imprese ci si confonde quasi sempre con i tradizionali distretti produttivi che, secondo Fulvio D’Alvia, direttore RetImpresa di Confindustria – «spesso non rappresentano più una soluzione valida per le imprese per l’eccessivo peso della politica e un eccesso di burocratizzazione». Meglio dunque superare il localismo grazie a progetti che riescano a mettere in comunicazione attori di regioni diverse per investire insieme in ricerca, sviluppare progetti comuni di marketing, esplorare nuovi mercati o dar vita a collaborazioni tecnologiche e commerciali. Il fenomeno delle reti di impresa sta catturando l’attenzione degli istituti di credito: ad esempio Barclays Italia ha sviluppato un modello di rating che favorisce le aziende impegnate in queste connessioni imprenditoriali.
Il contratto di rete
Lo Stato ha anche cercato di istituzionalizzare questa formula con il Contratto di rete (legge 99/09), che però fatica ancora ad essere applicato su larga scala per via della scarsa conoscenza presso notai e commercialisti, ma anche per alcune difficoltà di tipo fiscale. A questi inconvenienti potrebbe rimediare un emendamento alla manovra economica del Governo, che ha avuto il via libera dalla Commissione bilancio del Senato, che prevede in sostanza la defiscalizzazione degli utili destinati all’attività del progetto di rete: «Fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012 – si legge nel testo dell’emendamento – una quota degli utili, confluita nel fondo comune, non concorre alla formazione del reddito d’impresa a meno che queste risorse non siano utilizzate per la copertura di perdite di esercizio o quando viene meno l’adesione al contratto di rete. L’importo che non concorre alla formazione del reddito d’impresa non può, comunque, superare il limite di 1 milione di euro e l’agevolazione può essere fruita, nel limite complessivo di risorse pari a 20 milioni di euro per l’anno 2011 e di 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013».