Alla moda serve la tecnologia per uscire dalla crisi

Ma anche i grandi nomi del settore sono in ritardo nella condivisione ed elaborazione dei dati raccolti sui clienti

Se il tessile-moda made in Italy è sopravvissuto all’ultimo turbolento decennio, parte del merito è anche delle innovazioni tecnologiche: buona parte dei prodotti oggi in circolazione non sarebbero mai potuti essere realizzati con le tecnologie a disposizione 10 anni fa. È quanto ha sostenuto Claudio Cattaneo, vicepresidente Sistema moda di Assolombarda, nel corso del convegno “Artigianato globale e innovazione IT”, organizzato insieme ad Accenture. Ma la corrente crisi economica globale sta nuovamente mettendo a rischio la tenuta del comparto: secondo Cattaneo la flessione del fatturato, rispetto a un anno fa, è nell’ordine del 30%, con un notevole ricorso alla cassa integrazione.

La digitalizzazione dei negozi
Per sopravvivere occorrono scelte coraggiose ed ecco perché anche un settore come il tessile-moda, che pure ha al centro della sua azione la creatività, ha tutto da guadagnare da una politica di investimenti nelle soluzioni tecnologiche innovative. I grandi brand appaiono particolarmente interessati alle potenzialità di quelle tecnologie che permettono di migliorare la customer experience e acquisire vantaggi nella relazione diretta con il consumatore. Esempi in questo senso sono le vetrine e gli scaffali interattivi, i servizi mobile, i corner digitali e, più in generale, tutti i servizi rivolti alla personalizzazione del rapporto con il cliente. «I processi di digitalizzazione dello store – ha spiegato Marco Rotondo, responsabile fashion e luxury di Accenture – devono essere calibrati in base alle promesse del brand e al rapporto del proprio target di clienti con la tecnologia: è chiaro che i frequentatori tipo dei negozi della Diesel sono più pratici rispetto a quelli di Prada o Chanel». Ma nonostante l’indubbio interesse che queste soluzioni suscitano nel pubblico, è evidente che si tratta ancora di sperimentazioni, destinate comunque a rimanere appannaggio dei più importanti flasghsip store delle metropoli.

Un mondo di piccole imprese
Il mondo italiano del tessile moda, come ha giustamente ricordato Luciano Bandi (dirigente della Loro Piana), è invece costituito mediamente da aziende che impiegano 8 dipendenti e con un fatturato che si aggira intorno al milione di euro. Queste piccole imprese (che lavorano soprattutto come fornitori dei grandi marchi) possono invece beneficiare delle ricadute degli investimenti tecnologici in fase produttiva dei big del settore. Gerolamo Caccia Dominioni, amministratore delegato del gruppo Benetton, ha rivelato come gli investimenti tecnologici del gruppo siano concentrati su due principali linee d’azione: la qualità della lana e dei colori. «Abbiamo avviato un progetto con il Politecnico di Milano per cercare di eliminare il fastidioso problema del pilling dei capi in lana. Inoltre abbiamo sviluppato il nostro sistema informatico per cercare di avvicinare il più possibile i colori dei campionari con quelli effettivi di produzione. D’altronde non è possibile avere una produzione di qualità di alto livello senza un adeguato supporto delle tecnologie informatiche».

Poca business intelligence sui clienti
Nel corso del convegno è stata presentata una ricerca elaborata dalla Fondazione italiana Accenture sull’utilizzo delle tecnologie nelle aziende della moda e del lusso, limitata purtroppo soltanto a un ristretto campione di grandissime imprese (16 aziende italiane del lusso con un fatturato medio di oltre 800 milioni di euro). Lo studio non ha evidenziato correlazioni evidenti tra presenza globale, dimensioni aziendali e integrazione tecnologica. È risultata positiva l’integrazione dei dati tra punti vendita e sedi centrali: nel 75% dei casi sono condivisi i dati del cliente, nell’85% quelli di sell out, nel 56% è stato possibile effettuare una tracciabilità del prodotto lungo il suo ciclo di vita. Molto meno sviluppati (13%), invece, i sistemi di business intelligence in grado di elaborare i dati raccolti sui clienti. Infine, se il 73% delle aziende intervistate afferma di mantenere traccia dei difetti di produzione, l’integrazione tra i sistemi utilizzati da aziende e fornitori avviene soltanto nel 13% dei casi.

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