Il rapporto “Check up Mezzogiorno” di Confindustria evidenzia i limiti e le opportunità per le aziende meridionali
Con l’Italia che cresce meno della media europea (secondo i dati Istat del primo trimestre 2011) e il progressivo ma ancora timido assestamento delle imprese nelle regioni più sviluppate della Penisola, come la Lombardia, Confindustria torna a preoccuparsi del Sud. Pubblicando lo speciale “Check up Mezzogiorno” nei giorni scorsi, l’associazione degli industriali riporta l’attenzione sull’area economicamente più depressa del nostro Paese, ancora in attesa di un programma politico efficace per aiutarla a superare i suoi problemi cronici (arretratezza delle infrastrutture, disoccupazione, frammentazione del tessuto imprenditoriale, criminalità).
La crisi accentua la debolezza del Sud
Il check up è un’analisi sui dati di bilancio di 6.500 imprese meridionali, svolta dal servizio Studi e ricerche Intesa Sanpaolo; inoltre, il Centro studi Confindustria ha condotto un sondaggio su 452 aziende manifatturiere d’eccellenza a livello nazionale, di cui 55 del Sud, tra marzo 2010 e aprile 2011, per capire le loro strategie di competitività sui vari mercati. Nel periodo 2007-2009, si legge nell’introduzione al rapporto, “emergono gli effetti dirompenti della crisi sul tessuto produttivo del Sud: nel 2009, il fatturato è calato dell’11,7% rispetto all’anno precedente, mentre appare in forte aumento (dall’11,7% del 2007 al 20,9% del 2009) la quota di imprese non in grado di generare sufficienti flussi economici nella gestione industriale per coprire gli oneri finanziari”. A poco è valsa la specializzazione in settori tradizionalmente più riparati dalla recessione economica, come l’agroalimentare, o la minore propensione all’export. E secondo Intesa Sanpaolo, l’uscita dalla crisi sarà particolarmente lunga, stimando che “al termine del 2012, saranno ancora molte le imprese lontane dai livelli di fatturato del 2008”.
Irrealistico colmare il divario con il Nord
Con quasi il 96% di aziende che impiega un massimo di nove dipendenti, il Sud deve fronteggiare una debolezza molto accentuata del sistema imprenditoriale. Difatti, continua il rapporto, questa piccola dimensione “rende inevitabilmente svantaggiate le imprese meridionali nell’affrontare mercati sempre più concorrenziali, in particolar modo quelli internazionali”. E per colmare il divario con il Nord, secondo Confindustria, il Mezzogiorno dovrebbe segnare una vera e propria scossa, crescendo mediamente del 6% l’anno per quindici anni, con un raddoppio del Pil, un balzo del 16% nella produttività del lavoro occupando tre milioni di persone in più rispetto ai livelli attuali. Uno scenario “al momento del tutto irrealistico” come scrive l’associazione degli industriali; così le regioni meridionali dovrebbero almeno evitare la minaccia più grave, quella di un nuovo “snellimento” del tessuto produttivo, cercando invece di promuovere e valorizzare le imprese d’eccellenza.
La qualità dei prodotti come obiettivo di crescita
Il Centro studi Confindustria ha scandagliato 55 imprese d’eccellenza del Sud, operanti in vari settori, soprattutto materiali e componenti industriali (25% del totale) e alimenti e bevande (18%). Per oltre il 42% del campione, il cambiamento nelle strategie aziendali è necessario proprio per aumentare la loro competitività nel lungo periodo; il principale obiettivo degli imprenditori meridionali è variare l’offerta dei prodotti (44%), o spostarli su una fascia più alta del mercato (38,5% delle risposte contro il 26,5% della media nazionale), mentre il 32,7% degli intervistati cita in generale la “qualità del prodotto” come traguardo da raggiungere. Altri due obiettivi molto importanti sono aumentare l’export e promuovere il valore del marchio.
Tra i principali strumenti delle trasformazioni aziendali nel Mezzogiorno, Confindustria segnala l’innovazione tecnologica (34,6% delle risposte), le partnership con altre società italiane (25%); molto scarso, invece, è la dimensione internazionale delle imprese meridionali. L’obiettivo finale, per quasi il 60% del campione, è l’incremento del fatturato, contro il 46,6% della media italiana. Le principali differenze tra le imprese meridionali e quelle delle altre regioni sono due: al Sud si punta di più alla qualità dei prodotti intesa come “upgrading” (spostamento sulle fasce più elevate del mercato) e c’è meno attenzione allo sviluppo delle reti di vendita. Soltanto il 5,8% delle 55 aziende del Mezzogiorno considera come obiettivo intermedio il potenziamento della distribuzione commerciale, contro il 23% del totale italiano.