Anie: l’elettronica italiana soffre

Osservatorio Congiunturale: nel 2008 l’elettrotecnica ha tenuto di più. Per Guidi il settore è sano e si è riorganizzato.

Una conferma della crisi macroeconomica che stiamo vivendo viene dall’indagine dell’Osservatorio Congiunturale, promossa da Confindustria Anie (Federazione delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche), da Intesa Sanpaolo e Unioncamere e presentata a Milano.

Le imprese italiane del settore stanno archiviando un anno difficile, dal momento che per il 2008 l’Elettrotecnica prevede un fatturato in calo dello 0,5% (pari a 39,695 miliardi di euro) mentre l’Elettronica scende a un -4,5% (22,502 miliardi).

Delle due aree è proprio quest’ultima che soffre a causa delle difficoltà di comparti come apparati e sistemi per comunicazioni (-9,7%) e componentistica (-7,4%), mentre nell’Elettrotecnica i comparti frenanti risultano essere i trasporti ferroviari ed elettrificati (-7,2%), l’illuminotecnica (-1,9%), i cavi (-2%) e gli apparecchi domestici (-1,8%).

L’indebolimento sia della domanda interna (da parte di famiglie e aziende), sia di quella esterna non lascia speranza nemmeno per il 2009: il fatturato dell’Elettrotecnica dovrebbe attestarsi su un -1,3% e quello dell’Elettronica su un -2,2%.

Il settore, tuttavia, come ha osservato il presidente di Anie, Guidalberto Guidi, è sano, perché molte imprese hanno già da qualche anno avviato una mutazione genetica, investendo maggiormente in R&D e andando a produrre all’estero dove la manodopera costa meno. Tuttavia le medie imprese, che hanno guidato il buon andamento del biennio 2006/2007, danno i maggiori segnali di debolezza, come pure a livello geografico l’area del Nord Est Italia, che è sempre stata tra le più attive.

Come non bastassero questi dati, un quadro sul difficile contesto macroeconomico che ci attende nel 2009 l’ha delineato anche Gregorio De Felice, Chief economist di Intesa Sanpaolo.

Il manager ha esordito dicendo che, a oggi, è difficile capire se stiamo vivendo una forte recessione o piuttosto una depressione. Certo è che ci sono elementi di notevole preoccupazione, in quanto la recessione, che è sincronizzata in tutti i paesi tranne quelli emergenti, è appesantita anche da quella finanziaria.

La vera ragione di preoccupazione sta nel fatto che è venuto a mancare un grande motore di crescita che è il “credito facile”: oggi ha creato dei disastri ma, fino a pochi mesi fa, in Usa ha anche consentito ad aziende e mondo della finanza di percepire elevati guadagni.

Le famiglie americane hanno goduto da tempo di una quantità elevata di credito e questo ha preservato un modello economico che era sbilanciato: oggi che tutto questo è venuto a mancare, ha portato a una riduzione drastica di risparmi e investimenti e generato un cospicuo deficit estero per gli Usa, finanziato dal resto del mondo, in particolare dalle “formiche asiatiche”, che hanno una propensione a risparmiare il 30% del reddito.

La crisi del mondo bancario è stata in parte arginata, grazie agli interventi sulla riduzione dei debiti, «ma rimangono sospesi ancora altri problemi – ha osservato De Felice – come per esempio la crescita della Cina: se il suo Pil scende sotto il 7%, la situazione interna potrebbe diventare una polveriera. La recessione, quindi, è profonda, ma non credo che avremo una depressione grazie agli interventi che i vari stati stanno mettendo in atto. Ma quanto durerà la recessione? Dal 1947 a oggi le varie ondate di recessione che abbiamo subìto sono durate da 2 a 5 trimestri, per cui per capire a che punto siamo dobbiamo guardare eventuali segnali di ripresa. Questa crisi colpisce per prime le famiglie e quindi, passata l’ondata di spese natalizie, si capirà se ritroveranno la fiducia per continuare a spendere».

Analizzando la situazione dell’Europa, De Felice ha riconosciuto che la crisi edilizia non è completamente manifesta come già avviene negli Usa e lo stesso discorso vale per la disoccupazione, per cui forse il peggio deve ancora arrivare, perché se da una parte è vero che si riduce la “tassa da petrolio” dall’altra preoccupa l’andamento dell’occupazione. Un auspicio da più parti invocato è che i tassi di interesse, oggi ancora alti al 3,25%, scendano per cui è probabile che la Bce li porti al 2%.

In Italia, senza voler criticare il Governo, il manager ha riconosciuto che i margini di manovra della politica fiscale sono estremamente esigui e gli importi in gioco sono poca cosa rispetto a quanto stanno facendo gli altri paesi. I consumi sono in contrazione, a causa della riduzione dei redditi sia da capitali che da lavoro. Le imprese sono in una situazione di cautela e di attesa: la volatilità dei cambi comporta una maggior difficoltà nel fare approvvigionamenti e quindi a definire i listini.

Per l’Italia le previsioni di Intesa Sanpaolo sono di un Pil 2008 a quota -0,4% che dovrebbe scendere a un -0,6% nel 2009: forse è una visione troppo ottimista ma, ha concluso De Felice «oggi non giova a nessuno fare del catastrofismo per cui conviene confidare che le famiglie e le imprese riescano a ritrovare fiducia per spendere e investire, grazie anche alla attuale riduzione dei costi delle materie prime».

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