L’espressione “Apple tax” ha rivestito vari significati nel corso degli anni, tutti poco lusinghieri per la società di Cupertino: nelle ultime settimane è stata spesso utilizzata con il divampare nello scontro comunicativo e nei tribunali tra Apple ed Epic Games.
Sull’App Store di Apple, per gli acquisti in-app dalle app gratuite Apple trattiene una commissione del 30% e lo sviluppatore dell’app incassa il restante 70%, e la stessa cosa avviene per i ricavati provenienti dall’acquisto delle app che sono invece a pagamento. Anche per gli abbonamenti alle app scaricabili gratuitamente a Apple spetta una commissione del 30%, per il primo anno di abbonamento, mentre per ogni anno di abbonamento successivo al primo la percentuale si riduce al 15%.
La commissione del 30% è ritenuta troppo alta ed è stata criticata da molti publisher di app, sia grandi aziende che piccoli sviluppatori indipendenti.
Uno di questi ultimi è iA, che sviluppa l’apprezzata app di scrittura iA Writer.
Al divampare delle polemiche, quando Epic Games, dopo aver tentato di scavalcare questo sistema di commissioni di Apple (ma anche di Google, in ambito Android), ritenuto ingiusto, si è vista rimuovere il popolarissimo gioco Fortnite dall’App Store, iA ha pubblicato sul proprio blog ufficiale una serie di post molto approfonditi e lucidi sulla questione.
I post di iA portano alla luce quello che, probabilmente, non è un punto di vista solo di iA, ma anche di tanti piccoli studi e sviluppatori indipendenti. Un punto di vista interessante e a cui viene dato poco spazio nel dibattito pubblico, monopolizzato (è proprio il caso di dirlo) dalla lotta tra giganti.
Già, perché, secondo iA, il problema non è solo che il 30% di revenue share è una quota troppo alta (problema la cui esistenza iA tuttavia sottolinea con forza), ma anche che il mercato è strangolato da questi giganti monopolisti: non solo Apple, iA punta il dito anche verso la stessa Epic Games, così come verso Google, Facebook, Microsoft, Amazon.
Secondo iA, la vendita di software genera un profitto medio del 20%: se a questo viene sottratto un costo aggiuntivo del 30%, una piccola impresa si ritrova con un meno 10% da recuperare ogni mese.
Una Apple tax del 30% è quindi troppo alta. A questo si aggiunge il paradosso che, mentre i piccoli sviluppatori devono pagare ogni centesimo, i grandi nomi, quali ad esempio Facebook o Google, si trovano spesso a non pagare questa “tassa” (per molti motivi: accordi speciali e più ampi, i lauti guadagni provenienti dagli ad digitali che non sono soggetti a commissioni e altri).
Un punto negativo essenziale della app economy, su cui iA ha il merito di prendere posizione, è la concentrazione.
Anche se Apple afferma orgogliosamente che centinaia di migliaia di sviluppatori guadagnano decine di miliardi di dollari direttamente tramite l’App Store, sottolinea iA, un’analisi di SensorTower mostra un quadro diverso: su un totale di 22 miliardi di dollari di entrate lorde generate durante il terzo trimestre del 2019, i 1.526 publisher che costituiscono l’1% più ricco hanno generato 20,5 miliardi di dollari, mentre solo 1,5 miliardi di dollari, o il 7%, sono rimasti per i 151.056 publisher nel 99% più povero.
Ciò equivale in media a poco più di 9.900 dollari per publisher a trimestre. E nei giochi questa disparità si fa ancora più accentuata!
Sul blog di iA, se sei interessato, puoi leggere più di un post dedicato al tema della Apple tax e dei monopoli digitali, contenenti spunti di sicuro interesse.