Anziché offrire chiarimenti sulle attività della divisione irlandese, che, con all’attivo solo tre direttori, è riuscita a fatturare 74 miliardi di dollari senza pagare tasse, Cook ha criticato il sistema fiscale Usa, proponendo la riduzione delle imposte per facilitare il rimpatrio dei capitali.
Sicuro, deciso e con
richieste più che risposte. In questo modo si può riassumere l’intervento con
cui il Ceo di Apple Tim Cook ha risposto alle accuse mosse dalla commissione
del Senato Usa riguardo il ricorso a “scappatoie fiscali” che avrebbero
permesso all’azienda di Cupertino non pagare le tasse su oltre 74 miliardi di
dollari di fatturato.
Alla base del rapporto
redatto dalla Sottocommissione permanente d’inchiesta del Senato statunitense
c’è l’analisi delle attività svolte dalle divisioni Apple Operations International (Aio) e Apple Sales International (Asi). La prima, cui fanno capo tutte le
attività svolte da Apple in Europa, Medio Oriente, India, Africa e Asia, ha
sede a Cork in Irlanda. Ma, come ben evidenziato in un articolo
de Il Sole 24 ORE, tutte le sue attività sono “controllate a
gestite” dal quartier generale negli Stati Uniti, quindi non soggette alla tassazione irlandese.
Tuttavia, siccome il loro reddito è generato al di fuori degli Stati Uniti, la tassazione americana può essere
differita fintanto che i capitali restano all’estero. Questa situazione ha
permesso ad Aio di fatturare 30 miliardi
dal 2009 al 2012 ma di non dichiarare alcun domicilio fiscale e quindi di non presentare alcuna dichiarazione dei
redditi.
Per altro va sottolineato che Apple Operations
International è attiva dal 1980 e da quella data non avrebbe mai avuto alcun impiegato, solo tre direttori, due dei quali con
residenza negli Stati Uniti. Il terzo, che risiede effettivamente in Irlanda,
ma avrebbe però preso parte solo 7 volte alle riunioni effettuate dal consiglio
di Aio, che si sono svolte a 32 volte a Cupertino e solo una a Cork. Fatto
questo che secondo gli investigatori del Senato rappresenta una prova schiacciante che la società irlandese opera a tutti gli
effetti dalla California.
Come riporta sempre Il
Sole 24 ORE, dai bilanci depositati della Apple, il Senato ha calcolato che,
grazie a complesse “scappatoie fiscali”,
tra il 2009 e il 2012 la società avrebbe dirottato
in Irlanda 74 miliardi di dollari, risparmiando tasse per 44 miliardi.
Riguardo invece Apple Sales International sarebbe riuscita a
pagare un’aliquota effettiva pari allo
0,5 per cento.
Questa analisi, ha indotto il senatore democratico Carl Levin a
dire a Cook durante l’audizione di ieri: “Apple ha sfruttato un’assurdità che non abbiamo mai visto in altre
aziende utilizzare“.
Tim Cook non si è
lasciato influenzare dall’incalzare delle accuse e delle domande, fatte anche
dal senatore repubblicano John McCain, e si è difeso affermando che Apple ha sempre pagato le imposte dovute negli Stati
Uniti: solo nel 2012 ha versato 6 miliardi all’erario. Ma non solo,
ha affermato di ritenere che Apple sia
il principale contribuente aziendale in termini di imposte perché, stima
Cook, versa un dollaro ogni 40 di gettito fiscale della Corporate America.
Cook ha poi contrattaccato criticando il sistema fiscale statunitense,
chiedendo una riforma per le aziende che permetta di rimpatriare capitali senza pagare un’aliquota punitiva come l’attuale che è del 35 per cento.
Per rimpatriare profitti ed essere competitivi con altri paesi, Cook ha
proposto di portare la predetta aliquota sotto il 10 per cento.