Dopo un primo semestre che ha visto l’It calare del 9% con una diminuzione mai vista sui servizi, c’è un serio problema di occupazione
Chi ha lavorato nel settore anche per più di 30 anni non aveva mai visto un andamento dell’Ict così negativo tanto che sono a rischio 20.000 posti di lavoro. Una situazione preoccupante che andrebbe a impattare l’intero sistema Paese, visto che il mondo dell’Ict occupa un quarantesimo degli addetti in tutta Italia, tre volte di più del settore chimico e tre volte di più di quello tessile.
Ma facciamo un passo indietro per capire quali sono i dati e i motivi che creerebbero tanta disoccupazione.
Secondo l’ultima analisi rilasciata da Assinform relativa ai primi sei mesi del 2009 il mercato dell’Ict in Italia è calato del 4,5%, con il -2,5% per le Tlc e il -9% dell’It. «Un semestre così non si vedeva dal 1991 ed è andata peggio delle previsioni di luglio – commenta Paolo Angelucci, presidente di Assinform -. E il primo dato negativo riguarda le Telecomunicazioni fisse che calano del 4,4%».
Analizzando, poi, la specificità dell’informatica nel nostro Paese, vediamo che l’hardware è sceso del 15,7%, soprattutto a causa del blocco degli investimenti da parte delle aziende che non hanno intenzione di sostituire la tecnologia «cosa che in parte già conoscevamo» dice Angelucci, unita a una domanda più debole anche da parte del consumer.
Il software è calato del 4,1%, forse per la prima volta da anni, sempre a causa della mancanza di investimenti, ma il dato che più ha sorpreso gli analisti è stato il -7,3% dei servizi. «Si tratta di 400 milioni di ricavi in meno, comprendenti anche l’assistenza tecnica, rispetto allo scorso anno».
È evidente come tutto ciò abbia conseguenze serie sull’occupazione e quanto questi dati allarmino il settore.
«Il rischio di perdere 20.000 posti di lavoro nella sola It, settore industriale importante per il Paese, al quarto posto dopo la fabbricazione dei prodotti in metallo, la meccanica e l’industria alimentare, comporta un impoverimento del tessuto produttivo delle nostre imprese che vivono soprattutto grazie al capitale umano. Teniamo anche presente – precisa il presidente di Assinform – che, dopo la ricerca e sviluppo, l’It è il settore con la più alta percentuale di capitale umano per unità di prodotto. Inoltre l’incidenza di addetti laureati nell’Ict è del 30%, contro l’8% dell’Industria e il 23% dei servizi. Il rischio è quindi di perdere forza lavoro qualificata». E sono soprattutto i consulenti esterni a essere colpiti, sulla base di un’indagine Assinform che mette a confronto le risposte di un campione di aziende It tra febbraio e luglio 2009.
Unico dato positivo è che un quarto delle imprese clienti del settore It pensava di investire, sempre secondo quanto dichiarato dall’indagine dello scorso luglio, e quindi in questi mesi dovrebbero essere stati avviati nuovi progetti.
Detto ciò Assinform si fa portavoce di alcune proposte che coinvolgono banche e istituzioni. Per quanto riguarda le banche, l’associazione chiede di finanziare gli investimenti It delle imprese più dinamiche che sono il 25% e inoltre chiede finanziamenti finalizzati al mantenimento dell’occupazione.
Sul fronte istituzioni propone due interventi a costo zero e due a basso costo. Nel primo caso Assinform pretende un’accelerazione della spesa pubblica già stanziata dalle amministrazioni e un miglior utilizzo delle risorse disponibili per la formazione, semplificando le regole con particolare riguardo alla situazione degli inoccupati.
«I fondi ci sono – incalza Angelucci – ma occorrono regole più snelle per facilitare il loro utilizzo e utilizzarli più velocemente». Nel secondo caso chiede incentivi per la “rottamazione” dei vecchi software. «Software applicativo in particolare – spiega il presidente –. C’è troppo software vecchio in giro, mentre bisogna aiutare le azienda a capire, in primis, che nuovi software possono rendere le imprese più efficienti e competitive».
Infine si chiede un finanziamento del progetto It di Industria 2015 del Mse (Ministero dello Sviluppo Economico) «che permetterebbe alle nostre imprese di fare un salto qualitativo».