Ce lo spiega Giorgio Moresi di Xenesys, insieme a tante altre cose riguardo la Business intelligence e la necessità per le aziende di cambiare facendo e di fare cambiando.
Fare Business intelligence oggi non significa usare un modello già fatto, ma individuare sulla mappa d’impresa i punti da unire. Quasi un disegno, noto ai più.
Con la difficoltà, non da poco, che questi punti non sono numerati. E qui sta la questione.
Questa consapevolezza ce l’ha data Giorgio Moresi (nella foto), nominalmente Top Client solution manager Bi Managing director di Xenesys, di fatto un guru (italiano una volta tanto) della Business intelligence che passa il tempo a convincere i manager nostrani che va fatta perché fa bene.
Lo abbiamo incontrato a Milano, a margine di una giornata che Xenesys ha dedicato alla social analytics, e ne abbiamo approfittato per chiedergli cosa debba intendersi con il termine social enterprise.
Il social non è una foto di gruppo
«Un asset aziendale per creare valore – ci ha detto – . Che non si aggiunge, ma che è un motore di business, qualcosa di vivo, che produce. E non è una fotografia».
Di fatto, per Moresi, cose come la balance scorecard pervasiva «sono concetti ancora validi, nel day by day».
Il fatto è che «la macchina impresa è fatta da cultura e strumenti, serve inserirsi con le informazioni per creare un modello di dati per generare business».
Parlare di cultura aziendale significa mettere mano alla componente organizzativa. Un’evenienza che non sempre trova campo aperto davanti.
Difatti, per Moresi «il rifiuto del ribaltamento organizzativo è determinante in Italia».
L’intuizione non basta più
Come fare allora?
«Facendo toccare con mano al management che non basta più l’intuizione». E, anche, che «non è più nemmeno l’analisi del reporting a fare la differenza».
Serve, quindi, un cambio di passo.
E quali sono gli elementi che lo fanno compiere?
«Primo: dare una visione, non lo strumento. Secondo: essere stimolo del ragionamento pratico.
Terzo: non fare demo, ma lavorare su casi reali».
Si tratta, dunque, di fare analisi dei dati con nessuna strutturazione a monte.
Gartner direbbe “answer to unpredictable questions” e lo dice anche Moresi.
Tanto per dare un nome agli strumenti di lavoro, stiamo parlando dashboard interattive, Bi collaborativa, social Bi, advanced anbalytics.
Ma nel contesto attuale, desumiamo dalle parole di Moresi, fra organizzazione e tecnologia, pesa di più la prima.
I big data della relatività
Anche perché ci sarebbero i big data.
«È tutto relativo – stupisce Moresi -. Il volume è un obiettivo mobile. E non bisogna parlare assolutamente di velocità. Piuttosto, di struttura dei dati, capacità di analisi, gestione delle fonti. La velocità arriva dopo. Prima c’è l’interazione per avere risposte».
È in questo quadro che non si cambiano i vecchi database «perché costa troppo. Stiamo invece andando verso nuove forme di database».
E, cosa importante, con i nuovi strumenti e la nuova organizzazione, non va replicato il passato.
«Chi fa le vecchie cose, solamente più velocemente, sbaglia».
Perché «il mondo non è gerarchico, ma fatto di entità correlate fra loro».
La Bi è l’apriscatole
Fabio Finetto, ceo di Xenesys, conferma la visione, e rivela che «quest’anno sulla Bi faremo il doppio del volume di affari rispetto al 2012. Perché fino a ieri per decidere i manager i dati li avevano dentro l’azienda, oggi li pescano fuori, nel social.
A loro diamo la possibilità di guardare i dati in prima persona e abbinarli all’esperienza personale, al proprio sentire, per decidere. Lo stiamo facendo con i clienti più grandi, con manager forgiati e stressati dai numeri. A loro proponiamo progetti leggeri, che risolvono una problematica. E diamo risultati».
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