Periodo complesso da molti punti di vista per le Big Tech americane: non solo l’emergenza coronavirus da affrontare, ma anche le pesanti accuse rivolte loro dal Congresso degli Stati Uniti.
E così, per la prima volta, i CEO di Alphabet, Amazon, Facebook e Apple si sono presentati (virtualmente) assieme in audizione davanti ai parlamentari americani.
Le obiezioni mosse alle società (la cui capitalizzazione sommata vale oltre 5000 miliardi di dollari) sono diverse, e per la verità tutt’altro che inedite: abuso di posizione dominante, concorrenza sleale, sfruttamento di altrui diritti di autore fra le più pesanti.
Mark Zuckerberg, CEO e fondatore di Facebook, ha rigettato l’accusa di aver acquistato Instagram in quanto potenziale concorrente, sostenendo che all’epoca (parliamo del 2012) il social network era ben lontano da essere la piattaforma prediletta da un grande numero di influencer come lo è oggi. Al tempo stesso, il CEO ha ammesso di aver introdotto in Facebook funzioni e idee tratte da altre aziende, pur negando di aver violato alcun copyright. Zuckerberg ha inoltre fermamente rigettato l’accusa di moderare i contenuti seguendo un orientamento politico ben definito, e ha anzi dichiarato che tutti i moderatori del social network vengono adeguatamente istruiti per essere neutrali.
Il tema della influenza sul corpo elettorale è stato molto presente durante l’audizione, e sorte migliore non è certo toccata a Sundar Pichai, CEO di Alphabet (la holding cui fa capo anche Google). Se Facebook è spesso accusata più o meno direttamente di essere favorevole ai repubblicani, Google al contrario è ritenuta filo-democratici: per questo Pichai ha avuto gli scontri più duri e le domande più spinose proprio da esponenti del partito repubblicano, i quali hanno più volte insistito sulla (a loro avviso) scarsa neutralità di Google, accusando anche la società di trarre profitto da contenuti protetti da diritto d’autore senza riconoscere alcuna provvigione.
Va sottolineato, ed è doveroso farlo, che questa audizione delle Big Tech si innesta in un momento storico molto importante: siamo infatti a pochi mesi dalle elezioni presidenziali americane, ed è difficile (se non impossibile) negare quanto questo si rifletta con forza nel dibattito parlamentare americano.
Anche Jeff Bezos, CEO di Amazon, ha subito le accuse del congresso, nuovamente con evidenti basi politiche sullo sfondo. Non è un mistero che fra Bezos e Donald Trump non ci sia feeling. Amazon è anche accusata di sfruttare i dati dei venditori terze parti sulla piattafoma per favorire i propri marchi e prodotti, facendo di fatto concorrenza sleale. Bezos non ha potuto negare che questo sia successo (o che ancora succeda), ma ha sottolineato come le policy aziendali siano contrarie a questo comportamento e che laddove scoperto sia sanzionato.
Infine, a Tim Cook di Apple è toccato difendere l’operato dell’App Store: secondo gli accusatori, Apple manterrebbe elevati livelli di commissioni sulla vendita delle app facendo leva sulla propria posizione dominante sul mercato.
una tesi respinta con fermezza da Cook, sostenendo che Apple è tutt’altro che sola ad operare sul mercato: Android è un competitor forte e aggressivo, ma anche Xbox e PlayStation giocano un ruolo attivo.
Difficile dire, in questo momento, quali saranno le conseguenze per le Big Tech di queste audizioni: la sensazione è che si tratti sopratutto di uno sfoggio di muscoli da parte di democratici e repubblicani con sullo sfondo le elezioni presidenziali. Gli Stati Uniti, del resto, sono alle prese con problemi di gravità assoluta, primi fra tutti la grande diffusione del coronavirus e il conseguente e drammatico calo del prodotto interno lordo. Sicuramente vedremo altri capitoli di questa vicenda, e noi saremo pronti a darvene conto.