Il decreto federale che avrebbe dovuto mettere freno allo spamming mostra fin da subito la sua debolezza. Inefficace, o forse poco attuabile
6 febbraio 2004 A un mese di distanza dall’entrata in vigore di
Can-Spam, il decreto federale americano che avrebbe dovuto
porre un serio freno allo spamming, poco o nulla è cambiato.
Lo dicono i
produttori di software antispam, che sottolineano come dal 1° gennaio a oggi il
numero di messaggi indesiderati intercettati dai loro sistemi sia diminuito in
modo impercettibile, laddove non è addirittura
aumentato.
Postini, tanto per citare un nome, dichiara che
lo spam ha rappresentato il 79% dei messaggi email da lei processati per oltre
2.000 aziende clienti. Un mese prima, in dicembre, la percentuale era l’80%. E
se l’1% di riduzione è il frutto di Can-Spam il risultato è davvero di scarsa
rilevanza.
Brightmail, che monitora solo gli utenti finali,
parla addirittura di un incremento di 2 punti percentuali, confermando così lo
scetticismo con il quale aveva accolto il decreto, o meglio la sua attuabilità
in termini di sanzioni amministrative e penali per i trasgressori.
Per altro,
sono in molti concordi nel sostenere che il primo effetto immediato del decreto
è stato semmai un perfezionamento delle tecniche utilizzate dagli spammer per
evitare che i loro messaggi vengano intercettati e classificati per l’appunto
come “junk”.