Con la consumer electronics che si accredita come motore della crescita dell’intero comparto Ict devono cambiare anche i modelli di riferimento del trade.
Lo scenario è quello di Ict 2005, l’evento organizzato da ”. Sembra uno slogan
Sirmi per fare il punto sull’andamento del mercato e, soprattutto, per capire i
trend con i quali dovranno misurarsi le aziende del settore. E lo spunto lo
fornisce
Cuzari
delegato di Sirmi: “E’ l’Italia gaudente che tira
il mercato Ict – spiega -, che compra telefonini, che usa
nuovi servizi (e che fa crescere il mercato Tlc del 4,1%).
L’Italia che è irresistibilmente attratta dai gadget e dalle novità della
consumer electronics (in crescita ad un tasso del
13,8%). Ed è una Italia in controtendenza rispetto a
quell’altra Italia – prosegue l’analista – che è scettica se non
fredda quando si tratta di investire nel mondo business (l’It professionale
ristagna a un -0,3%)”.
Dai dati di mercato e dalla
interpretazione di Sirmi emerge un mercato a due velocità,
paradossalmente sbilanciato verso una innovazione spinta sull’individuo e
sull’home entertainment e dal sistema delle imprese che invece rimane pericolosamente fermo al palo.
Ed è con questa
visione che si intreccia la chiave di lettura proposta da Alessandro
Cattani. L’amministratore delegato di Esprinet
sostiene che “se sino ad oggi si è lavorato per servire 4 milioni di imprese
adesso bisogna prepararsi per servire 55 milioni di clienti
pubblicitario ma la sostanza è che se il mercato vede emergere con forza una
domanda polverizzata e oggi ancora confusa di prodotti e di servizi consumer il
trade non deve lasciarsela sfuggire. E non deve incappare nel gravissimo errore
di interpretare questo fenomeno come una minaccia quando invece è una grande
occasione. “Ma come per tutte le grandi occasioni – osserva il numero
uno di Esprinet – è necessario individuare esattamente cosa si deve e come
ci si deve muovere”.
Cattani alza
l’indice su una cattiva abitudine del mercato. “L’equazione giù il presso su
i volumi – avverte – non vale più.” Adesso se si “buttano” giù i
prezzi “vanno giù” anche le aziende. Non ci sono più i margini per sfruttare
questa equazione. “Peraltro – aggiunge – in assenza di una forte
differenziazione di prodotto basata sull’innovazione tecnologica o sul brand una
differenziazione basata sul prezzo rischia di schiacciare il canale di vendita
in un ruolo di puro servizio logistico o di fornitura di credito a basso costo
quando invece per suo futuro il trade deve crearsi un modello di business che
permetta di erogare ben altri servizi oltre a credito e logistica”. Cattani
rifiuta poi il vittimismo di chi sostiene che queste sono le regole inevitabili
di un mercato che sta entrando nella sua fase di maturità. “Ci sono tanti
mercati maturi – sostiene – nei quali ci sono attori che crescono e
fanno profitti. Il vero problema è sviluppare dei modelli adeguati”.
Ed è a questo punto che Cattani invita a fare un salto
verso quello che genericamente si definisce “mercato consumer”. “Il sistema
dell’offerta It – osserva – continua a voler vendere tecnologia quando
ci sono milioni di clienti che al contrario chiedono emozioni. Ci si ostina a
produrre oggetti che puntano tutto sulle performance e sul basso costo, quando
invece c’è un grande pubblico che chiede prodotti belli, facili da usare e
soprattutto personali, nei quali identificare un proprio bisogno o un proprio
piacere”. E’ uno scatto culturale che Cattani chiede all’industria e al
trade per superare i paradigmi del “business”. Perché davanti a un nuovo
prodotto non basta limitarsi a chiedersi se “serve” ma è necessario capire se
“piace”. E per questo serve soprattutto un marketing più creativo, più vicino a
chi “usa” la tecnologia che a chi ne pianifica l’ingresso nelle imprese. I
paradigmi sono diversi, le modalità d’acquisto sono diversissime e le strategie
dei fornitori e del trade devono tenerne conto.
Anche perché, come
ricorda Cattani, i clienti del mondo consumer sono tantissimi, sono assetati di
prodotti, hanno l’abitudine di pagare cash e quando non dispongono del cash sono
pronti a indebitarsi pur di comprare. Stiamo parlando insomma di buoni clienti
che sono alla ricerca di “buoni” punti vendita, capaci ad esempio di fornire
servizi di pre-vendita e post-vendita. Sono in definitiva un fenomeno e un
valore che prima o poi qualcuno riuscirà a intercettare adeguatamente con un
modello vincente. E la domanda implicita di Cattani è: si deve aspettare che
qualcuno (Gdo, Gds, e-commerce) riesca a trovare la formula giusta per servirli
o non è il caso che il trade si dia una mossa per catturare questi
consensi.
Di certo si tratta di un nuovo mestiere: “occorrerà
sempre di più lavorare sull’Instore-Promotion ad esempio e – insiste –
su un marketing che sia veramente creativo e che dimentichi i paradigmi del
It Business per creare una diversa relazione con il cliente”.
Senza mai dimenticare che quello stesso cliente che si “aggancia” e si
serve bene per questi prodotti e questi servizi può o potrà essere cliente per
la sua dimensione “business”. Perché i 55 milioni di clienti che si affacciano a
questo mercato lavorano nei 4 milioni di imprese e porteranno nelle loro realtà
di lavoro nuove competenze e nuove esperienze di relazione con il
trade.