Realizzare un chatbot è solo il primo passo nell’evoluzione che un’azienda può dare al suo dialogo da e verso i clienti. Poi bisogna che questo chatbot sia “accettato” dai clienti stessi, ossia che continuino a usarlo anche dopo i primi scambi di messaggi.
Non è scontato che sia così: ci sono aziende che registrano un crollo nelle interazioni dopo una prima fase di scoperta del chatbot, crollo che mette un po’ in dubbio gli investimenti fatti in questa nuova forma di comunicazione.
Il problema della retention nell’uso dei chatbot è legato essenzialmente a due componenti: l’efficacia del chatbot come strumento aziendale, creato quindi con uno scopo, e più in generale il livello qualitativo delle conversazioni. In fondo, nessuno vuole comunicare con un cattivo interlocutore, reale o virtuale che sia.
Al primo ambito è legato innanzitutto il valore percepito del chatbot: i clienti devono essere spinti a usarlo perché dà loro qualcosa.
Ciò a sua volta richiede che l’azienda abbia chiaro il problema che il chatbot deve risolvere, la funzione che ha nel flusso del business complessivo. Per questo bisogna anche definire a chi si rivolge il chatbot: a seconda del suo target, si concentrerà su problemi specifici. I bot generici non hanno grande retention, più si rivolgono a un target mirato (con contenuti altrettanto mirati) più è probabile che vengano seguiti.
La questione della comunicazione “efficace” dal punto di vista dell’interazione è un tema più ampio. In parte il chatbot ha gli stessi problemi di un interlocutore umano, anche se i suoi interlocutori sanno che non lo è (e anzi sarebbero spaventati se cercasse troppo di sembrarlo). Quindi valgono i consigli che si danno di norma: comunicazioni brevi, personalizzate ma senza eccedere, evitare di sembrare insistenti.
Alcuni accorgimenti da seguire però sono tipici da chatbot. Il primo è definire in anticipo come gestire le situazioni in cui il bot non comprende cosa l’interlocutore sta dicendo. Avere una sola risposta neutra standard, che il cliente si vede presentare magari tre o quattro volte di seguito, non fa certo bene al mantenimento della conversazione.
Meglio definire un meccanismo per cui la risposta standard può essere presentata solo due o tre volte, quella successiva ci deve essere una risposta più concreta, magari invitando l’utente a visitare una certa pagina web oppure generando una notifica a un operatore umano che possa prendere in mano la conversazione.
Un altro punto importante riguarda le tecniche di re-engagement. Mandare messaggi non sollecitati non è mai un bene ma può stimolare un cliente che non usa il bot da tempo. Lo si può fare quando si presenta uno spunto che possa essere condiviso dal cliente, ad esempio una nuova funzione del bot o una novità da comunicare al cliente in base alle conversazioni precedenti.