Come si fa il recupero dati da Ssd

I drive a stato solido sono performanti, costano, ma piacciono. Cosa succede ai dati contenuti se diventano inaccessibili? Lo spiega Paolo Salin di Kroll Ontrack.

È in atto una transizione nelle modalità di memorizzazione dei dati.
Gli hard disk continuano a rappresentare il principale sistema di storage, ma quelli a stato solido (Ssd), in cui le informazioni sono memorizzate in chip di memoria flash, stanno diventando sempre più popolari.

Con la diminuzione dei relativi costi nei prossimi anni gli Ssd si diffonderanno meglio come supporto di archiviazione di massa.
Rimane da capire come, al pari degli hard disk, si recupereranno i dati in caso di fault.

Secondo Paolo Salin, Country Director di Kroll Ontrack in Italia, nonostante gli Ssd siano più robusti rispetto agli hard disk tradizionali, esistono diverse cause che possono determinare la perdita dei dati. E mentre le complesse procedure e le tecniche di recupero che si applicano agli hard disk tradizionali sono consolidate, la situazione è differente nel caso di supporti Ssd.

La maggior parte degli Ssd, spiega, sono costituiti da chip di memoria flash e da un flash controller chip, un microprocessore complesso che non solo gestisce il flusso di dati in entrata e in uscita dal dispositivo ma che controlla anche come i dati vengono scritti nei chip flash.

Se il flash controller chip del dispositivo diviene inutilizzabile a causa di un danno, l’unico modo per recuperare i dati consiste nel rimuovere i chip di memoria flash e nel procedere con un’estrazione grezza (raw) dei dati.

Si tratta di una procedura molto tecnica che richiede tempo per essere svolta oltre a competenze e strumenti dedicati.

Inoltre, a causa della natura proprietaria del chip controller, i chip estratti non possono essere rimontati su di un dispositivo simile.
Anche i dispositivi realizzati dallo stesso costruttore, infatti, utilizzano una varietà di protocolli differenti per la trasmissione e la gestione dei dati.

Gli ingegneri di recupero dati devono quindi posizionare i chip di memoria flash in apposite macchine e utilizzare software appositamente sviluppato per accedere ai dati.

La sfida successiva consiste nel riorganizzare le informazioni estratte.
Gli hard disk memorizzano i dati in modo lineare, con lo spazio disponibile a partire dal bordo esterno dei piatti e concentricamente verso il centro.
Lo storage su memoria flash è molto più dinamico, poichè se un blocco di celle di memoria è costantemente scritto si usura rapidamente. Con l’obiettivo di gestire la durata della memoria flash, il chip controller applica un processo chiamato “wear-leveling” o di bilanciamento dell’usura.

Questo processo bilancia il numero di volte che specifiche aree vengono scritte, nonché gestisce la frequenza di quando un gruppo di celle flash è stato scritto per l’ultima volta.
Ad esempio, se un file viene copiato su Ssd senza essere modificato o spostato per un certo periodo di tempo, il controller riprogramma con i dati un’altra zona di memoria flash.
Successivamente l’area originale viene cancellata, liberando tali elettroni per impedire alle celle di rovinarsi.
Pertanto i dati su qualsiasi dispositivo di memoria flash sono in un costante stato di movimento, indipendentemente dal fatto che l’utente copi il file in un’altra cartella sul dispositivo.
In uno scenario di recupero dati in cui il flash controller chip non è più in grado di gestire le informazioni, il wear-leveling dà origine a complesse sfide.

Inoltre, se il dispositivo flash ha due o più chip di memoria, i dati possono essere distribuiti tra i chip per migliorare le prestazioni. Infine, alcuni produttori suddividono le aree di ciascun chip in regioni a loro volta organizzate in gruppi, con i dati mantenuti insieme da un Flash Translation Layer (Ftl).

Tuttavia, non tutti i produttori costruiscono dispositivi che utilizzano il medesimo Ftl o con processi di wear-leveling uguali. In realtà, i produttori possono apportare modifiche di progettazione all’interno di una linea di prodotti molto velocemente.

Anche le esigenze di sicurezza possono portare a una maggiore difficoltà, osserva Salin: si pensi a metodi di cifratura esclusivi per un certo dispositivo, complessi e soggetti a frequenti mutamenti, il rischio di non poter recuperare dati critici in questi casi aumenta.

Come risultato di tutto, secondo Salin, le imprese dovrebbero valutare con attenzione il passaggio ai sistemi Ssd intesi come metodo primario di storage.
Mentre in passato le aziende avevano la tendenza a pensare al recupero dei dati una volta verificatosi l’evento, con i drive a stato solido è suggeribile anticipare qualsiasi riflessione.
Sono stati fatti diversi sforzi dall’industria dello storage per appianare alcuni dei problemi creati dalle tecnologie proprietarie ma ancora per qualche tempo il recupero dati da Ssd continuerà ad essere più complesso rispetto agli hard disk tradizionali.

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