La Commissione europea ha informato X (ex Twitter) del suo parere preliminare secondo cui l’azienda viola la legge sui servizi digitali (il Digital Services Act) settori legati ai dark pattern, alla trasparenza della pubblicità e all’accesso ai dati per i ricercatori.
La trasparenza e la responsabilità in relazione alla moderazione dei contenuti e alla pubblicità sono al centro della legge sui servizi digitali. Sulla base di un’indagine approfondita che comprendeva, tra l’altro, l’analisi dei documenti interni della società, colloqui con esperti e la cooperazione con i coordinatori nazionali dei servizi digitali, la Commissione europea ha formulato constatazioni preliminari di non conformità su tre rimostranze:
- In primo luogo, X progetta e gestisce la propria interfaccia per gli “account verificati” con il “marchio di controllo blu” (il familiare “Blue checkmark”) in modo da non corrispondere alla prassi del settore e ingannare gli utenti. Poiché chiunque può abbonarsi per ottenere tale status “verificato”, secondo la Commissione ciò incide negativamente sulla capacità degli utenti di prendere decisioni libere e informate in merito all’autenticità degli account e ai contenuti con cui interagiscono. La Commissione aggiunge che vi sono prove di attori malevoli motivati che abusano dell'”account verificato” per ingannare gli utenti.
- In secondo luogo, secondo la Commissione X non rispetta la necessaria trasparenza in materia di pubblicità, in quanto non fornisce un archivio pubblicitario consultabile e affidabile, ma pone invece in essere caratteristiche di design e barriere di accesso che rendono l’archivio inidoneo a fini di trasparenza nei confronti degli utenti. In particolare, il design non consente la vigilanza e la ricerca necessarie sui rischi emergenti derivanti dalla distribuzione di pubblicità online.
- Il terzo punto posto dalla Commissione europea è che X non fornisce ai ricercatori l’accesso ai suoi dati pubblici in linea con le condizioni stabilite nella legge sui servizi digitali. In particolare, X vieta ai ricercatori idonei di accedere in modo indipendente ai suoi dati pubblici, ad esempio mediante scraping, come indicato nelle sue condizioni di servizio. Inoltre, il processo di X volto a concedere ai ricercatori ammissibili l’accesso alla sua application programming interface (API) sembra dissuadere i ricercatori dallo svolgere i loro progetti di ricerca o lasciare loro la possibilità di pagare costi sproporzionatamente elevati.
Inviando i risultati preliminari, la Commissione europea informa X del suo parere preliminare secondo cui la piattaforma viola il Digital Services Act. Ciò – spiega altresì la Commissione – non pregiudica l’esito dell’inchiesta, in quanto X ha ora la possibilità di esercitare i suoi diritti di difesa esaminando i documenti contenuti nel fascicolo d’indagine della Commissione e rispondendo per iscritto alle conclusioni preliminari. Parallelamente sarà consultato l’European Board for Digital Services.
Se il parere preliminare della Commissione dovesse essere infine confermato, la Commissione adotterebbe una decisione di non conformità che accerti che X viola gli articoli 25, 39 e 40 (12) della legge sui servizi digitali. Tale decisione potrebbe comportare sanzioni pecuniarie fino al 6% del fatturato mondiale totale annuo per l’azienda nonché l’ordine di adottare misure per porre rimedio alla violazione. Una decisione di non conformità può anche far scattare un periodo di vigilanza rafforzato per garantire il rispetto delle misure che il provider intende adottare per porre rimedio alla violazione. La Commissione può inoltre imporre penalità periodiche per costringere una piattaforma a conformarsi.